Bologna, 31 dicembre 2016 - Li avevate persi. Volti smarriti in un pensiero, sguardi aguzzi e rapidi come frecce in volo, intrichi di strade ombrose, solitudini di piazze larghe e assolate in cui si muove, colta di sorpresa, solo un’ombra (di un dio addomesticato? di un uomo?). Presenze e guizzi di città, così effimeri da diventare - a guardar bene, con attenzione - essenziali. E infatti hanno saputo guardare con attenzione, giorno dopo giorno, Paolo Miccoli e Gianluigi Schiavon. Il primo, fotografo, ha fissato volti e momenti con la rapace delicatezza del proprio obiettivo. Il secondo, giornalista e scrittore, li ha fatti vivere di una vita Altra, possibile, regalando loro provvisorie, abusive identità: accanto ad ognuna delle 101 foto che compongono questo atipico, prezioso libro (“A Bologna c’era il mare”, Giraldi Editore, € 19) vibrano versi, o brevi racconti, che compongono ritratti. Nessuno è in posa: passanti, gente in riva al bar, studenti, immigrati, sbandati, anziani. Tutti e ciascuno, onde di una città che si muove. Una mappa di carne, di storie. E c'è, attorno a loro, tutto quel vuoto o pigro o dolente - in ogni caso enigmatico – di certi scorci di Hopper allucinati di semplice realtà: ombre che tagliano i visi, il chiarore impietoso di tranquilli pomeriggi di paura. C’è la vita, un mare di vita. In fondo avrebbe poco senso – per questa umanità di cabotaggio – il vivere e formicolare come in banchi sotto la mano possente e padrona di Nettuno, se non esistesse (laggiù nelle grotte della memoria collettiva) non tanto la voglia ma la necessità stessa di un mare. Del suo incessante creare e disfare vite. E' Bologna, è perfettamente Bologna: un ritratto collettivo, minute onde di esistenze venute a riva fin qui, tra l’Appennino e la pianura (“Partita a scacchi”, pagina 81: «Giocate ragazzi, / finché ne avrete voglia...», o “Mappa”, pagina 95: «La vita è una caccia al tesoro...»). O destini sbattuti su nuovi scogli, più ovattati certo di quelli di una fuga che ancora fa sanguinare, ma duri, spietati, pieni di domande e di vuoto (“Alle spalle”, pagina 78: «Aveva alle spalle / due guerre perdute / una moglie sparita / un deserto attraversato...»). E' Bologna, sì. Ma somiglia a quasi tutte le altre città. Perché tutte sono di frontiera, e tutte sono porti (a volte portici) di mare. Ed è osservando questi gesti spontanei, questi particolari non studiati – una ruga dolorosa, una fronte altera, un ghigno o una perplessità inattesa, una risata aperta come un mattino di sole – che Schiavon disegna il vestito di parole che (ipotetico, certo) appare perfetto, si attaglia alle loro forme: poche frasi, lampi di poesia e agudezas che creano sentimento, umorismo, ilarità. Sfiorando persino l’orlo della commozione. E' pur lì che Miccoli e Schiavon possono farvi approdare, a questo mare immaginato, inseguito, voluto anche da chi vive sminuzzate storie di terra. Un mare, quello benedetto da un Nettuno bolognese, che alla fine del viaggio di 206 pagine, vi avrà portato a scoprire o riscoprire la costa più vicina a voi (e quindi spesso invisibile agli occhi), il cui profilo è fatto non di sole pietre, ma di volti e silenzi. Per gridare davvero, sommessamente, nel profondo di voi stessi: Terra!
Magazine'A Bologna c’era il mare': immagini e poesia di una città