Tréguer&Tréguer, il rosè è 'So Chic!' in Sardegna: "Questa è la nuova Provenza”

L'imprenditore francese folgorato da Capo Boi e dal Cannonau: "Un vitigno eccezionale, l’antenato del Grenache che è la base di tutti i migliori rosè provenzali”

di MICHELE MEZZANZANICA
5 marzo 2024

Il 'So Chic!' e, a destra, i coniugi Jean-Paul e Isabelle Tréguer

Il rosato è il vino del futuro e la Sardegna sarà la nuova Provenza. Ne è assolutamente convinto Jean-Paul Tréguer che, insieme alla moglie Isabelle, ha fondato la Tréguer&Tréguer. Con l’ambizione di rendere l’isola dei rossi strutturati e del Vermentino il nuovo riferimento internazionale del rosè. Il tutto senza possedere una singola vigna.

“Applichiamo il modello Champagne – dice – acquistiamo le migliori uve da conferitori selezionati e le vinifichiamo secondo il nostro obiettivo. D’altronde la strategia del vino si basa sul ‘Land or Brand’ e noi abbiamo scelto la seconda, concentrandoci tutte le nostre energie e risorse economiche”.

Signor Tréguer, da dove arrivano queste sue convinzioni sul rosato e sulla Sardegna?

“Il rosè è l’unica tipologia di vino fermo con un mercato in crescita. Piace alle donne, che oggi rappresentano il 60-65% del mercato con punta del 70% negli Stati Uniti; piace ai giovani, i nuovi consumatori che faticano a comprendere il cerimoniale dei grandi rossi d’annata. E la Sardegna sul rosato ha un potenziale enorme: 300 giorni si sole, una storia enoica di oltre tremila e anni ma soprattutto il Cannonau. Un vitigno eccezionale, l’antenato del Grenache che è la base di tutti i migliori rosè provenzali”.

Che vini producete?

“Ne produciamo e ne produrremo sempre solo uno, il ‘So Chic!’. Un Cannonau in purezza, ovviamente, sottozona Capo Ferrato. Le vigne si trovano a un chilometro dal mare, circondate da colline. C’è il vento, c’è la brezza marina: condizioni eccezionali per fare vino. Vendemmiamo in settembre, asciamo le bucce a contatto per qualche ora e poi mettiamo in acciaio fino a marzo. Ad aprile imbottigliamo e usciamo sul mercato”.

Come avete deciso il nome, che con la Sardegna c’entra ben poco?

“La Sardegna è conosciuta per i suoi bianchi e i suoi rossi come terra di tradizione. I vini hanno nomi difficili da memorizzare, anche le etichette sono austere. Noi vogliamo invece dare un’immagine moderna e innovativa della Sardegna, perché abbiamo una visione internazionale per cui vogliamo fare della Sardegna la Provenza italiana. E in Provenza il vino di maggiore successo si chiama Whispering Angel, non proprio un nome francese. So Chic è un nome che resta in mente, formato da due parole molto internazionali, e anche bottiglie ed etichetta raccontano un messaggio. La bottiglia è satinata, trasmette eleganza e raffinatezza, richiama subito il bere fresco tipico dei rosé. L’etichetta è a specchio, nei bar e nei ristoranti si fa notare con effetti di trasparenza e giochi di luce. Infine, abbiamo un tappo rosa, di sughero, dipinto con vernice alimentare: un nostro elemento distintivo, una piccola sorpresa quando si stappa la bottiglia”.

So Chic!, vino rosato di Sardegna
So Chic!, vino rosato di Sardegna

Come sono i vostri rapporti con i produttori locali?

“Proprio per la nostra visione internazionale, non ci poniamo in concorrenza con i produttori locali. Anche perché qui le cantine generalmente hanno una gamma di 5-6 rossi, 3-4 bianchi, due vini da meditazione e poi, in fondo, un rosato. Chiaro quindi che lavoriamo su due mercati diversi e, anzi, noi possiamo fare da apripista per il riconoscimento del valore del rosé di Sardegna nel mondo, con benefici per tutti. D’altronde quando io e mia moglie siamo arrivati qui e ordinavamo il rosato al ristorante, faticavamo a trovarlo, ci dicevano che in Italia non è poi così importante, Noi venivamo dalla Francia dove il rosé copre un terzo dei consumi di vino, non riuscivamo a capacitarcene. Anche da questo abbiamo capoto l’enorme potenziale del nostro progetto”.

Qual è la vostra produzione e dove la vendete principalmente?

“Abbiamo cominciato con la vendemmia 2020 in cui abbiamo prodotto solo 600 magnum, l’anno successivo abbiamo fatto la prima produzione vera e propria con 10mila bottiglie e nel 2022 ne abbiamo fatte 25mila. Puntiamo a crescere del 40-50% l’anno. Anche sul mercato ci siamo ampliati gradualmente. All’inizio eravamo solo nella nostra zona, nel sud della Sardegna, ora siamo presenti in 200 punti vendita in tutta l’isola. L’anno scorso abbiamo fatto il salto: siamo sbarcati a Roma, in Salento che è una delle patrie dei rosati italiani, abbiamo cominciato a esportare in Francia e stiamo preparando due mercati importanti come Svizzera e Stati Uniti”.

Come siete arrivati, lei e sua moglie, a produrre vino in Sardegna?

“Ho lavorato per quarant’anni nel campo della pubblicità, avevo una grossa agenzia di marketing a Parigi, ma ho sempre avuto l’Italia nel cuore. Mio papà era colonnello dell’Esercito e per tre anni è stato in servizio alla caserma Nato di Ederle, quindi io ho vissuto lì e ho frequentato le vostre scuole, dai 5 agli 8 anni. Ho sempre voluto tornare in Italia e, ormai prossimo alla pensione, con mia moglie anche lei innamorata del vostro Paese ci siamo trasferiti. Volevamo un posto di mare, perché siamo bretoni e per noi è imprescindibile, così quando lei ha visto in televisione un documentario sulla Sardegna siamo venuti. Abbiamo percorso la litoranea da Cagliari a Villasimius e a Capo Boi è scattato il colpo di fulmine. Era il 2019, siamo subito entrati nella prima agenzia immobiliare e nel 2020 ci eravamo già stabiliti qui”.