In vino veritas: Elisabetta Rogai e la enoarte
Il vino è poesia della terra, scriveva Mario Soldati. Per Elisabetta Rogai è anche magia di colori e bouquet di profumi, una sintesi alchemica che nel tempo cambierà tonalità e luce, così come modificherà il suo sapore e la sua trasparenza al buio delle cantine. Sono ormai dodici anni che, abbandonati acrilici, oli e tempere tradizionali, Elisabetta Rogai dipinge scegliendo le etichette dei vini, dosando sulla tela i diversi rossi, ma persino i rosè. E non esclude di azzardare anche con i bianchi. Perché il bello di un artista è non fermarsi mai, sperimentare ogni giorno una pennellata diversa. A proposito di novità, a cosa sta lavorando in questo periodo? “Il Covid ha fermato molti miei progetti, anche all’estero. Ma la prossima estate sarò ospite in alcuni meravigliosi luoghi di mare della nostra Italia. Il bello è che ovunque, nel nostro Paesi, ci sono ottimi vini da degustare. E da usare per la mia pittura”. Dove andrà? “Uno degli appuntamenti più importanti è in Calabria, per partecipare a un evento legato ai festeggiamenti per i cinquant’anni dal ritrovamento dei Bronzi di Riace. La mia mostra infatti si terrà in un ristorante-galleria molto vicino al museo archeologico. E poi ho in programma una performance in provincia di Cosenza, in una splendida vigna che arriva fino al mare”. Cosa ha pensato come omaggio ai Bronzi di Riace? “Cerco sempre di collegare la mia pittura ai prodotti e alla tradizione del territorio. E per questi straordinari guerrieri ha pensato di utilizzare, oltre al vino, l’Amaro del Capo”. Che caratteristiche hanno i vini della Calabria, da un punto di vista cromatico? “È un rosso che vira verso il melanzana, rispetto ad esempio al Sangiovese, il vitigno tipico del Chianti che invece una volta messo sulla tela ha una gamma cromatica sui toni del terracotta”. Ci spiega come sia possibile dipingere col vino? Ma perché il colore non si dissolve col tempo? “Perché con la mia tecnica, che ho brevettato, prima elimino dal vino la parte liquida, essenzialmente l’acqua, lasciando gli antociani, ossia la componente colorata che è quella che non evapora. Poi, al momento delle performance restituisco al dipinto altro vino, per aggiungere brillantezza e trasparenza. Se non si segue questo procedimento il vino sbiadisce e resta solo un alone grigio. Mettere a punto questa tecnica non è stato semplice e ci sono riuscita con l’aiuto di un professore di chimica organica”. Come le è nata l’idea dell’enoarte? “Fu un lampo, l’intuizione di un momento una sera a cena a casa di amici. Un commensale versò un calice di rosso su una raffinata tovaglia bianca. E una signora al tavolo con noi disse: ‘adesso sarà difficile smacchiarla, secondo me non andrà più via...’. Allora pensai: se non va via dalla tovaglia, non va via neanche da un quadro!”. Qual è la magia di intingere il pennello in un buon rosso? “Il vino è una sostanza viva, organica. E come tale reagisce: invecchia sulla tela come in bottiglia. Ognuno si modifica in maniera diversa, a seconda del vitigno, dell’umidità, della luce, del calore. Insomma, come il vino si trasforma in cantina, lo stesso avviene su un quadro in salotto. E nessun dipinto sarà uguale all’altro, proprio perché diverso sarà il luogo in cui viene esposto”. Nel tempo ha sperimentato diversi supporti su cui dipingere. “Sì, perché se non sperimento non mi diverto. Oltre alla tela ho usato il vino anche sul marmo di Carrara, sulla pietra di Apricena e persino sul plexiglas. È questo un ultimo versante a cui mi sto dedicando, in collaborazione con Bartolacci Design, e che apre nuovi orizzonti e nuove possibilità”. Fra i suoi numerosi lavori, a quali è più affezionata? “Certamente il drappellone per il Palio di Siena nel 2015. Ricordo di aver usato un Brunello per la Vergine che rivolge lo sguardo alla città e allo stesso tempo abbraccia protettiva un bambino che gioca con alcune biglie colorate che i senesi chiamano barberi. Ma tempo molto anche all’affresco realizzato per la Scuola di Guerra Aerea di Firenze, di fronte all’opera di Pietro Annigoni e vicino al dipinto di Giovanni Colacicchi. Così come ho nel cuore il Battesimo di Cristo realizzato per il fonte battesimale dell’antica pieve di San Pietro in Bossolo a Tavarnelle val di Pesa vicino Firenze”. Perché i produttori di vino si sono innamorati di lei? “Perché per chi ha una cantina l’enoarte corrisponde a rendere eterni i propri vini: le bottiglie si bevono, i dipinti restano. E poi perché si riesce ad ampliare un’esperienza multisensoriale, che dal sapore passa al profumo e al colore”