Il sommelier: «C’è tanta voglia di bollicine»

di LETIZIA GAMBERINI
10 aprile 2022
Hands toasting red wine glass and friends having fun cheering at winetasting experience - Young people enjoying harvest time together at farmhouse vineyard countryside - Youth and friendship concept

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Il consiglio è quello di «essere curiosi, di provare le denominazioni che non si conoscono per scoprire sempre cose nuove». Vinitaly 2022: istruzioni per l’uso secondo Stefano Berzi, che lo scorso autunno a Bologna è diventato il Miglior Sommelier d’Italia Ais aggiudicandosi il premio Trentodoc. Bergamasco, classe 1992, al mondo del vino si è accostato fin da bambino. Berzi, infatti, è cresciuto nelle terre di quella chicca enologica che è il Moscato di Scanzo e soprattutto «nell’osteria di famiglia, ormai arrivata alla sesta generazione. Al Vinitaly ci sono andato con mio padre tutti gli anni: è una fiera che porto nel cuore». E che riparte finalmente nella sua formula originale, dopo due anni di stop. «È bello tornare alla normalità dopo la pandemia. Il Vinitaly è sempre un bel banco d’assaggio e soprattutto una fiera storica, che racconta il vino, ma anche il tessuto sociale italiano». Quali tendenze dobbiamo aspettarci, e non solo a Verona? «Si conferma il trend degli spumanti, la voglia di bollicine resiste anche al di fuori delle festività, con abbinamenti a tutto pasto. C’è tanta l’attenzione al green, al bio, anche biodinamico. Si cercano vini con minore gradazione alcolica, con una bella immediatezza e acidità, da bere in più momenti della giornata. E poi continua la ricerca sugli autoctoni italiani, sui vitigni che raccontano un territorio: in questo il vino è un grande comunicatore». Uno dei temi più attuali, anche in campo enologico, è senza dubbio il cambiamento climatico. Come vede il prossimo futuro? «Ci sarà sempre più attenzione all’ambiente e al territorio e già si cercano cloni più resistenti. Alcune aree potranno avere più valore: penso ad esempio allo spumante prodotto in Inghilterra. Cambieranno i vitigni, guardiamo alla zona dello Champagne. Ci sarà sempre più bisogno di professionisti che sappiano comunicare, le cantine se ne stanno accorgendo: bisogna fare cultura. In questo senso il Vinitaly dà proprio visibilità ai vitigni e ai produttori che raccontano vini». Da sommelier, in che modo la pandemia ha cambiato il mondo del vino? «In questi due anni c’è stata un’accelerazione sul digitale e, anche con il diffondersi del Qr Code, è cambiato il modo di gestire la carta dei vini, che un tempo era più difficile modificare. Ora invece bisogna essere dinamici e offrire nuovi stimoli, fermo restando che la carta è solo uno strumento del sommelier, un biglietto da visita». E per quanto riguarda il pubblico e gli enoturisti? «Dopo le prime chiusure, c’è stato un forte interesse a provare cose nuove. Ora le persone si informano, controllano su internet e se all’inizio si è puntato proprio molto sull’e-commerce, in realtà poi nei ristoranti è mancata l’interazione con le persone. Anche secondo quello che mi dicono i produttori, c’è un pubblico che vuole sentirsi raccontare una storia dietro al calice, la fatica di farlo». Anche il mestiere del sommelier si sta adattando ai tempi? Offre sbocchi nuovi? «La professionalità è sempre in primo piano, ma oggi si cerca di evitare troppi tecnicismi, con un linguaggio più immediato. Ora un sommelier ha un ruolo a 360 gradi, dall’aperitivo al distillato, alle birre, fino alle consulenze». E se ci dovesse raccontare un vino in particolare, un bicchiere del cuore? «Non credo ci sia un vino del cuore, dico sempre che il vino è come la musica: dipende da con chi sei, dallo stato d’animo e dalla situazione».