Collina dei Ciliegi, il piccolo borgo antico della Valpantena
Storia di un wine retreat con ristorante e dei suoi vini nati dalla pietra, a Erbin. La visione di Massimo Gianolli
Guardare oggi Erbin con gli stessi occhi incantati che aveva Armando più di novant’anni fa è facile: c’è un borgo antico, con radici cimbre, romane e altomedievali - come suggeriscono i ritrovamenti archeologici più a valle, a Grezzana - perfettamente integrato in una natura ancora selvaggia e boschiva, ma già domata dalla mano dell’uomo. C’è un ristorante che - a sorpresa! - è diventato il luogo della creatività di Giuseppe Lamanna e Lina Maffia, lui calabrese e lei pugliese, e c’è un retreat in legno e pietra dove il camino, al declinare dell’estate, inizia a scaldare le mani e l’atmosfera.
Oggi è facile subire il fascino di questo luogo, dicevamo, ma solo grazie all’amore e al lavoro di Armando Gianolli - classe 1925 - che fu affidato piccolissimo a una balia di Erbin dalla madre milanese e trascorse qui la propria infanzia fino al 1932, per poi fare ritorno a Milano. Passate le due grandi guerre, Armando negli anni Sessanta inizia ad acquisire i terreni abbandonati intorno a Erbin, con un sogno in mente: ritornare in quella che ancora considera la sua vera casa. Lo fa anche piantando su una delle colline più belle migliaia di quei ciliegi, che dal 2005 daranno il nome all’azienda creata da Massimo Gianolli, figlio di Armando.
L’idea di Massimo? Avviare un’azienda di assoluta riconoscibilità ed eccellenza, fondendo in essa la moderna cultura enologica, un originale e riconoscibile stile di ospitalità e, naturalmente, l’indissolubile legame con il territorio e i suoi prodotti, cosa che si traduce in una scelta di sostenibilità e di conservazione delle specie autoctone. Vediamo insieme come ci è riuscito e qual è il risultato.
Il wine retreat Cà del Moro
Pietra, legno, fuoco e acqua, tessuti naturali. Gli elementi che richiamano la personalità di questa terra ci sono tutti nelle camere e negli spazi condivisi del Wine Retreat Cà del Moro. Il giro in cantina si inizia a pregustare già entrando in una delle sei camere, che portano il nome di vini e vitigni che hanno fatto grande il Veneto: A
marone, Valpolicella, Recioto, Ripasso, Garganega e Corvina . Le grandi vetrate, la pietra e il legno fanno da ponte tra interno ed esterno, tra la natura e il comfort, ma chi cerca una fusione ancora più profonda tra gli elementi può scegliere, anziché una camera, uno dei piccolo chalet destinati al glamping. Volendo, il retreat può diventare anche un luogo di incontro business o per lavorare da remoto, magari in uno dei “pod” in legno e vetro che, dotati di scrivania e connessione wifi, permettono la visione di tutte le colline della Valpantena.Passeggiate tra i vigneti, in bicicletta o a cavallo: cosa fare in Valpantena
Parlando di Valpantena, la Collina dei Ciliegi è un ottimo punto di partenza per scoprire questa gemma che - per fortuna? - non è ancora celebre e turistica come la vicina Valpolicella. Per chi ama lo sport c’è la nuova Pump track, i percorsi per mountain bike e l’hiking. Per chi preferisce un approccio più lento ed interiore, invece, il retreat propone lezioni di pilates, yoga e meditazione, tenute nel punto più panoramico della tenuta, ma anche programmi di musica, reading e suggestive performance nello spazio Theatro appena rimodernato.
Ritrovare il contatto con la natura? Certamente, partecipando al rito collettivo della vendemmia o passeggiando tra le vigne con i cavalli di Benedetta Bongiovanni che, alla scuderia Erbin, porta avanti una tradizione antica: l’allevamento allo stato brado di pecore di razza Brogna della Lessinia, una razza autoctona che stava per scomparire per sempre prima del suo recupero qui, tra i boschi e i vigneti del borgo amato dalla famiglia Gianolli.
Tra Mediterraneo e Valpantena, la cucina di Cà del Moro
Questo luogo sospeso dove ciò che sta per scomparire torna a vivere è diventato la casa di una coppia di creativi e professionisti della cucina. Gli chef Giuseppe Lamanna e Lina Maffia - come già anticipato, unione felice di due grandi tradizioni culinarie: quella calabrese e quella pugliese - firmano un menu che cattura l’essenza della Valpantena attraverso le sue erbe e le sue carni e la sublima in madeleine proustiane (qualcuno le chiamerebbe ‘comfort food’) come la zuppetta di biete della nonna di Lina e lo spaghettone alla nduja, ricotta e ristretto di pomodorini. Una nota, a fine menu, informa i commensali: “Il segreto dell’ospitare è far sentire gli ospiti a casa propria. Qui a Ca’ del Moro pane e coperto sono sempre offerti”.
La cantina, i vigneti, le etichette
Corvina. Questo il vitigno da piantare, secondo tradizione, nella Valpolicella così come nella Valpantena. Ma è proprio così? Se lo è chiesto anche Massimo Gianolli che, prima di trasformare parte dei 56 ettari di proprietà in vigneti, ha coinvolto due mostri sacri: Lydia e Claude Bourguignon, agronomi e microbiologi del suolo considerati (non a torto) tra i massimi esperti di terroir al mondo. Lydia e Claude hanno analizzato, con le mani e con la tecnologia, tutti i terreni della collina e hanno emesso un verdetto inaspettato: Corvina sì, ma anche Garganega. Accanto alle più tradizionali uve a bacca rossa, perciò, La Collina dei Ciliegi ha messo a dimora anche Garganega, Pinot Bianco e Chardonnay: 23,5 ettari sul totale sono dedicati a viti a bacca rossa e bianca per la realizzazione di quattro vini super IGT destinati alla collezione ALTA, la più rappresentativa di un progetto vitivinicolo che ha lo scopo - semplice da spiegare ma complesso da ottenere - di portare il terroir nel calice attraverso il rispetto integrale del suolo e dell’orografia originaria, sesto d’impianto 130x100 cm, alta densità (7.700 barbatelle/Ha), rese bassissime (50-60 quintali/Ha), irrigazione di mero soccorso e conduzione totalmente biologica.
I vigneti si trovano tutti tra i 400 e i 700 metri di quota e beneficiano di una buona escursione termica; sono impiantati “a schiena d’asino” perché il sole, il vento e l’umidità possano alternarsi in maniera ottimale: condizione necessaria, se si ha intenzione di produrre vini d’eccellenza. La collezione ALTA - un laboratorio “a vigna aperta” - comprenderà quattro etichette: Prea, Verona bianco IGT, Prea rosso, Brugolo e Monte Castello. La collezione Terrena, invece, raccoglie le espressioni più autentiche della Valpolicella Valpantena DOC e dei suoi vitigni tipici (Corvina, Corvinone, Rondinella) declinati secondo la triade enologica perfetta di questo territorio: Valpolicella Superiore DOC Peratara, Amarone della Valpolicella DOCG Ciliegio e Amarone della Valpolicella Riserva DOCG Ciliegio Armando Gianolli. Radicata, infine, è la collezione per chi vuole scoprire la Valpantena un sorso alla volta: comprende il Brut VSQ, il Cà del Moro Garganega Veronese IGT, il Camponi Corvina Veronese IGT, il Valpolicella Superiore IGT Formiga, il Valpolicella Ripasso Superiore DOC Macion, l’Amarone della Valpolicella DOCG e Il Recioto della Valpolicella DOCG.
Prea, il vino che nasce dalla pietra
Prea, in molti dialetti del Lombardo-Veneto, significa pietra. E fatti di pietra erano i suoli della Collina dei Ciliegi quando Massimo Gianolli ha deciso di iniziare l’avventura enologica insieme a Christian Roger e all’enologo Paolo Posenato: terreni sassosi e mai smossi dal vomere da cui sembrava impossibile cavare qualcosa. La pietra, però, invece di essere sterilità è stata benedizione e quei terreni intatti - sedimentari e marno-calcarei di origine giurassica - sono risultati perfetti per la produzione di vini eleganti e non banali.
Nasce da qui Prea, il Verona Bianco IGT che apre la collezione ALTA reinterpretando il vino bianco in una zona - la Valpolicella - collettivamente associata al rosso. Il vigneto omonimo è a 570 metri sul livello del mare, su terreni calcarei; densità 8mila barbatelle, resa 40 quintali all’ettaro, fermentazione e affinamento in cemento. In degustazione, il fiore di sambuco e il caprifoglio aprono a una sensazione quasi minerale, diversa però da quella che la Garganega esprime su terreni vulcanici, meno fumè. Pesca tabacchiera e agrumi aprono l’assaggio, fortemente improntato sulla salinità. Un vino complesso ma facilissimo da abbinare, già vincitore di premi e menzioni a soli sei mesi dalla sua presentazione alla stampa: non male per un vino nato dalla pietra.