Classico superiore e Riserva vigna i campioni dell’Azienda Felici

di DAVIDE EUSEBI
10 aprile 2022
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Leopardo Felici, titolare dell’azienda agricola Felici di Apiro, in provincia di Macerata, nel 2020 è stato vignaiolo dell’anno e produce Verdicchio dei Castelli di Jesi. Come vede Vinitaly nella situazione attuale? «E’ un evento consolidato, un momento dove i nostri clienti torneranno ad assaggiare le novità, finalmente possiamo riabbracciarli dopo due anni che non li vedevamo. Presentiamo le nuove annate e siamo molto contenti di farlo». Quali sono? «Presenteremo l’annata 2021 dell’Andrea Felici Classico superiore e inoltre la Riserva Vigna Il Cantico della Figura 2019. Due vini diversi tra loro: uno è un grand cru, da un vigneto singolo di oltre sessant’anni, l’altro è una cuvée ovvero un assemblaggio di vari vigneti tra 400 e 600 metri d’altezza. Siamo a metà strada tra Jesi e Matelica, ai piedi della montagna che guarda verso il mare. Produciamo vini minerali che riflettono le caratteristiche dei nostri terreni dove troviamo argille fluviali blu che danno struttura e calcare che conferisce eleganza e finezza». Vini da invecchiamento? «Esatto, direi grandi vini da invecchiamento. La nostra posizione geografica ci permette di avere vini minerali, grandi bianchi longevi. Verdicchi che possono anche arrivare a venti, trent’anni di vita». Apprezzati anche all’estero? «Sì, il settanta per cento va della produzione va all’estero, in America, il mercato più importante è New York, ristorazione soprattutto. Il trenta per cento in Italia, tra Marche e Italia». Identità: quanto conta questo concetto? «Tanto. Siamo un’azienda a conduzione famigliare, artigianale, puntiamo sulla comunicazione non solo del Verdicchio, ma del territorio: comunichiamo la nuova Doc Castelli di Jesi, all’interno di questi 25 comuni ognuno dei quali è un cru. Vogliamo vendere il territorio e non solo il vino. Il consumatore che acquista il vino deve sapere da dove viene, questo è un valore aggiunto. Il verdicchio ha caratteristiche uniche al mondo ma non ci si può limitare al prodotto finito, bisogna partire da un territorio. In cantina abbiamo una piccola collezione provata con tutte le vecchie annate, una sorta di carta di identità, una piccola anagrafe della nostra produzione». Quante bottiglie producete? «Circa ottantamila in tredici ettari». Che futuro ha il Verdicchio? «E’ all’inizio del suo percorso, sta vivendo la rinascita. Un tempo era un vino bistrattato, considerato commerciale, adesso invece sta riprendendo il suo posto nella ristorazione a livello mondiale. Era considerato il vino da supermercato, oggi grazie al lavoro di tante piccole aziende artigianali, sta avendo la sua rivincita e sta acquisendo la personalità che merita. Il Verdicchio è un grande vino bianco da invecchiamento».