Champagne, la sfida più difficile: sostenibilità ambientale senza abbassare la qualità

Confusione sessuale nelle vigne, nuovi vitigni geneticamente resistenti e rotte transatlantiche oil-free: l’impegno green del vino più iconico al mondo raccontato da Gaelle Jacquet, direttrice ‘Protection et Valorisation’ della denominazione

di MICHELE MEZZANZANICA -
16 maggio 2024
Gaelle Jacquet con Domenico Avolio, direttore Bureau de Champagne Italia

Gaelle Jacquet con Domenico Avolio, direttore Bureau de Champagne Italia

Premessa l’obbligo: la qualità non è negoziabile. E non può essere diversamente, se ti chiami Champagne. 

Gaelle Jacquet, direttrice ‘Protection et Valorisation de l'Appellation Champagne’, lo dice chiaramente, lo sottolinea senza tanti giri di parole: “Lo Champagne rimane un punto di riferimento fortissimo per i consumatori, uno studio realizzato l’anno scorso da un istituto di ricerca indipendente ne conferma la posizione di leader indiscusso del lusso e del prestigio. I consumatori, insieme alla qualità, riconoscono allo Champagne il ruolo simbolico di prodotto iconico e la sua forte carica emozionale”. Allo stesso tempo, però, la zona vinicola più celebre al mondo non si sottrae alla grande sfida del nostro tempo: la sostenibilità ambientale. 

Calici di Champagne
Calici di Champagne

Se ne è parlato a Milano, in una cena al ristorante Innocenti Evasioni organizzata dal Bureau du Champagne, la costola italiana diretta da Domenico Avolio del Comité Champagne, l’ente che rappresenta viticoltori e produttori delle rinomate bollicine, con articolazioni nei principali Paesi del mondo attraverso appunto i Bureau. Jacquet, che all’interno del Comité si occupa di protezione e valorizzazione della denominazione, ha sciorinato numeri e impegni di quanto fatto dalla filiera Champagne per lo sviluppo sostenibile, nonostante la necessità quasi ‘morale’ di dover sempre garantire una produzione media di altissima qualità. 

Gli Champagne degustati alla cena milanese
Gli Champagne degustati alla cena milanese

Negli ultimi 15 anni, ad esempio, nella Champagne sono state ridotte del 20% le emissioni di Co2 per singola bottiglia, ed è stato dimezzato l'impiego di fitosanitari e prodotti azotati. "Trattiamo e recuperiamo il 100% degli effluenti del vino e di sottoprodotti vinicoli, e il 90% dei rifiuti industriali – racconta Jacquet –. Inoltre, sono state raddoppiate le superfici inerbite e il 70% delle superfici della Denominazione è in fase di certificazione ambientale".

La Champagne è stata inoltre la prima filiera viticola al mondo a calcolare la su impronta carbonica, già nel 2003, nonché pioniera della cosiddetta ‘confusione sessuale’ nelle vigne, con conseguente eliminazione quasi totale dei trattamenti insetticidi, Soprattutto, è stata la prima regione vitivinicola francese a inserire a titolo sperimentale nel Disciplinare un vitigno Piwi (il Voltis), vale a dire una varietà resistente ottenuta grazie a incroci genetici. Una tematica di cui si discute molto nel mondo del vino, dal momento che potrebbe essere una delle possibili chiavi per rispondere al cambiamento climatico e alla recrudescenza di alcune malattie della vite; ma allo stesso tempo, sul lungo periodo, potrebbe anche arrivare a cambiare radicalmente il panorama vitivinicolo mondiale così come lo abbiamo conosciuto finora. 

paesaggio vinicolo della Champagne
paesaggio vinicolo della Champagne

Altro aspetto da considerare in tema ambientale, l’impatto delle spedizioni, per una denominazione che esporta ogni anno oltre 170 milioni di bottiglie in ogni angolo del mondo. A tal proposito, ricorda Jacquet, la Champagne ha sperimentato la prima rotta merci transatlantica oil-free. Nel 2017, infatti, la goletta Avontuur con un carico di Champagne è partita dal porto francese di La Rochelle per arrivare nel porto di Montreal, in Canada. Questo primo viaggio ha aperto una possibile rotta marina verde tra l’Europa e l’America del Nord che potrebbe diventare la prima linea commerciale transatlantica senza petrolio.