Cantine Pellegrino, l’oro di Pantelleria oltre moscato e passito

Lo storico gruppo vinicolo siciliano, presente sull’isola dal 1992, punta a creare grandi vini bianchi secchi. L’esempio di Isesi, da uve Zibibbo selezionate in diverse contrade

di CAMILLA GARAVAGLIA
18 luglio 2024
Cantina Pellegrino a Pantelleria

Cantina Pellegrino a Pantelleria

A Pantelleria non si capita per caso. Bisogna volerci proprio arrivare, in traghetto (anche in yacht, per chi ce l’ha) o in aereo, sfidando i venti dal mare e dall’aria e le punte nere aguzze di basalto e ossidiana dal mare. La bellezza di Pantelleria sta, forse, proprio nel corteggiamento richiesto per essere raggiunta da chi vuole visitarla, da chi vuole restare e da chi la vuole coltivare.

Il corteggiamento di Pellegrino nei confronti di Pantelleria è iniziato nel 1992 e non è mai più finito: sull’isola, Pellegrino - che da più di 140 anni coltiva varietà pregiate di uve autoctone nella Sicilia occidentale - produce i suoi famosi passiti, i moscati e da qualche tempo un vino bianco, Isesi, sostenendo il lavoro degli eroici viticoltori locali. Eroici non per modo di dire: i vitigni di Pantelleria entrano a pieno titolo nella descrizione dei “vigneti eroici o storici” tutelati dalla legge n. 238/2016 - Testo unico della vite e del vino nell'articolo 7, perché coltivati su migliaia di chilometri di muretti a secco su pendenze praticabili solo a dorso di asino - l’asinello pantesco è uno degli emblemi dell’isola - o a piedi.

La famiglia Pellegrino nella tenuta di Pantelleria
La famiglia Pellegrino nella tenuta di Pantelleria

“La vendemmia a Pantelleria richiede un atteggiamento sacrale, perché si fa in ginocchio - spiega Benedetto Renda, presidente di Cantine Pellegrino e presidente anche del Consorzio Doc Marsala e del Consorzio Volontario di Tutela dei vini Doc dell’isola di Pantelleria -. La coltivazione ad alberello pantesco richiede che ogni fase della lavorazione avvenga in ginocchio, appunto, o con la schiena piegata. Una pratica che richiede sacrificio e dedizione, oltre che una certa maestria perché ogni vite - come, del resto, ogni ulivo e ogni pianta di cappero - qui sull’isola va domata perché possa resistere al vento costante”.

Pellegrino e Pantelleria: storia di un amore

A Pantelleria, Pellegrino è la più importante realtà produttiva di vino da uve Zibibbo, sinonimo di Moscato d’Alessandria, che coltiva negli otto ettari della Tenuta Sibà - nella parte ovest dell’isola - e che acquisisce da viticoltori locali. Non è, questo, l’unico investimento fatto sull’isola e per l’isola: con l’iniziativa ‘Insieme per Pantelleria’, la famiglia Pellegrino ha creato un vivaio specializzato, volto alla riproduzione e al reimpianto delle specie endemiche andate distrutte in numerosi, recenti incendi. Nella cantina di Pantelleria, praticamente a emissione zero, Pellegrino ottimizza la gestione dei rifiuti e il contenimento di ogni forma di inquinamento, dall’utilizzo agronomico delle acque reflue all’utilizzo di materiali riciclabili al riutilizzo del vetro. Infine, Pellegrino ha creato nella sede della cantina tra la strada perimetrale e via Reverendo Pellegrino una terrazza per aperitivi e degustazioni con vista, ovviamente, sul mare. Un nuovo punto d’incontro potrebbe sorgere anche all’interno della vigna Sibà, dove tra le viti ad alberello si trovano strutture e dammusi antichi che chiedono solo di essere recuperati.

Tenuta Sibà si trova all’interno dell’area naturale protetta dal Parco nazionale di Pantelleria, e non potrebbe essere altrimenti: qui si arriva agevolmente solo con mezzi da lavoro o a bordo della Fiat Panda, l’automobile più diffusa sull’isola e, in qualche modo, erede dell’asinello pantesco. Si tratta di 9 ettari - tra impiantati e ancora da impiantare - distribuiti su pendii che partono da circa 300 metri sul livello del mare fino ai 400 metri, su suoli sono di origine vulcanica, leggermente argillosi e sabbiosi, con presenza di ferro e di cristalli di mica: il terreno, camminando tra gli alberelli, brilla sotto i passi. Qui l’enologo di Pellegrino, Nicolò Poma, ha trovato l’ambiente perfetto per uno dei più sorprendenti progetti della cantina: la produzione di grandi vini bianchi secchi panteschi. “In un’isola in cui passiti e moscati governano il mercato - spiega Poma - noi stiamo creando un vino secco, Isesi, che ci sta già dando grosse soddisfazioni. Isesi - che prende il nome dalla cultura pantesca dei Sesi - non nasce solo a Sibà: nella sua produzione, ho la possibilità di scegliere nelle contrade Mueggen, Barone e Khamma i grappoli idonei per fare un grande vino bianco, che si avvicini per personalità e caratteristiche ai grandi vini internazionali. Ci ho messo quindici anni per conoscere bene l’isola, prima di tentare questa scommessa con Pellegrino”.

Le uve di Isesi vengono raccolte manualmente, grappolo a grappolo, nei primi dieci giorni di settembre. La vinificazione viene fatta in riduzione, con pressatura soffice e lunga fermentazione a bassa temperatura. L’affinamento, su fecce fini, è lungo. Il risultato è un vino dal colore giallo paglierino, dalle note di pesca e frutti bianchi, sentori di salvia e di macchia mediterranea. In degustazione, l’annata 2021 ha una profonda anima pantesca, con note di fiore e foglia di cappero, l’annata 2019 sorprende per l’acidità e per i sentori che ricordano la cera d’api e la 2023 - ancora in prova di vasca, senza affinamento in bottiglia, ha già mostrato una grande personalità, data da note quasi burrose sotto la sensazione di idrocarburo. In tutte le annate, il gusto è equilibrato, con una buona - e attesa - sapidità.

La verticale di Isesi
La verticale di Isesi

“Il passito è una grande tradizione di Pantelleria - spiega l’enologo - ma Pellegrino vuole fare crescere questo bianco secco nella convinzione delle grandi potenzialità vinicole dell’isola. Molto si può fare con lo Zibibbo, che in vigna dà da ogni branca uno, massimo due grappoli: praticamente, abbiamo a disposizione la massima espressione di qualità del frutto”. La tenuta dispone di viti sia giovani - da quelle impiantate a quelle di circa 12/13 anni - sia di viti mature, di circa 70/80 anni: non essendoci espianto meccanizzato, qui la vite muore “per stanchezza”, guardando il tramonto.

A Pantelleria, Pellegrino produce anche Moscato e il Nes, il passito che prende il nome dall’ebraico (Nes significa miracolo), cui la Fondazione italiana sommelier ha riconosciuto il premio 2022 quale miglior vino dolce d’Italia per l’annata 2020. Nes è un vino dolce, affinato a temperatura in acciaio per 10 mesi, che si riconosce subito sia sullo scaffale - grazie alla sua particolare bottiglia con tappo di vetro - e soprattutto nel calice: pulito, per niente stucchevole, con una buona acidità e con le classiche note di albicocca e frutta secca rese più verdi dalla presenza di un retrogusto mandorlato.

Alberello pantesco, i dieci anni Unesco

Nel 2024 si festeggiano i dieci anni da quando, nel 2014, l'Unesco ha iscritto la "Pratica agricola della vite ad alberello" nella lista del patrimonio immateriale dell'umanità. Un evento storico: si trattava, infatti, della prima volta che una pratica agricola conseguiva questo riconoscimento. Si tratta di una variante locale della forma di allevamento ad alberello, che prevede uno sviluppo limitato in altezza della pianta: in questa forma peculiare, l’alberello viene coltivato in conche profonde circa 20 centimetri, che servono sia ad accumulare la poca acqua piovana sia, soprattutto, a creare condensa per portare la giusta umidità alla pianta. Le stesse conche si vedono, nei meravigliosi giardini panteschi, alla base degli aranci e dei limoni: è grazie all’umidità che si concentra in queste strutture che gli agrumi riescono a prosperare nonostante la scarsa piovosità estiva. La conca, infine, serve a proteggere la pianta dal vento che a Pantelleria soffia da ogni lato dell’isola.

Raccolta manuale dell'uva
Raccolta manuale dell'uva

Tutte le operazioni, dalla defogliazione alla nettatura (la “cippa”) fino alla vendemmia, vengono eseguite a mano: non c’è altro modo, né altro modo viene cercato. “La vigna a Pantelleria è molto dura da lavorare - spiega un vigneron pantesco - perché l’alberello è più basso rispetto a quello siciliano. In Sicilia, per lavorare un ettaro di terreno servono circa 30/34 giorni: qui ne servono 100, il triplo”. Anche per questo, forse, di terreni messi a vite se ne vedono molto meno, sui pendii di Pantelleria, rispetto a qualche decennio fa. In numeri, si è passati dai 5000 ettari vitati degli anni Settanta ai 500 di oggi.

Storia, turismo e prospettive future

Come già detto, a Pantelleria non si capita per caso. Il turismo pantesco è un turismo cocciuto, determinato quanto i popoli che - dai Sesi ai Fenici, passando per gli Arabi e i Romani - hanno abitato l’isola sin dai tempi più remoti. Curiosamente, lo Zibibbo è stato portato a Pantelleria dagli Arabi non per la vinificazione, bensì per l’uva passa (l’Islam non prevede il consumo di bevande alcoliche). La produzione di vino - se si esclude quella di epoca fenicia e romana - è perciò relativamente recente e ha appena qualche secolo di vita: mantenerla ed evitare che sparisca grazie al ricambio generazionale è una delle grandi sfide che l’isola dovrà affrontare nei prossimi decenni. Per fortuna, a sostenere la sfida c’è anche il Consorzio di cui Benedetto Renda è presidente, che nel 2023 ha richiesto la certificazione con fascette di Stato per la DOC, così da “contrastare le contraffazioni e tutelare i consumatori, oltre a dimostrare senza ombra di dubbio la qualità dei i vini della perla nera del Mediterraneo”.

Oltre ai percorsi dell’enoturismo, l’isola offre altre scuse gastronomiche per percorrerla, a partire dai capperi - che a Pantelleria hanno una Igp -, e dalle olive prodotte dagli ulivi varietà biancolilla, anch’essi coltivati ad alberello basso per sfuggire al soffio del vento. Dal Museo del Cappero situato all’interno di un antico dammuso al lago Specchio di Venere, dal parco archeologico dei Sesi alle vasche termali di Gadir, dal laghetto delle Ondine al simbolo dell’isola, l’arco dell’Elefante, tutti i punti e i ristoranti dell’isola meritano una visita, anche in bicicletta o in barca, dove i tramonti migliori si festeggiano a bordo con pane cunzato e calici di vino fresco. Ogni tipo di corteggiamento verso l’isola ha il suo perché, ma quello blu, via mare, è consigliato. Pellegrino 1880 nasce quando il notaio Paolo Pellegrino, viticoltore per passione, fonda la cantina destinata a diventare una delle più importanti in Sicilia. Il suo sogno: riscattare il nome del Marsala, che evolverà grazie a Josephine Despagne, moglie di Carlo Pellegrino e figlia dell’enotecnico francese Oscar Pierre Despagne. Un fil rose lega Josephine Despagne alle successive generazioni femminili della cantina: le donne della quinta e sesta generazione hanno, infatti, ruoli importanti all’interno dell’azienda.