Bibbiano, il Chianti Classico vestito a cru
Presentate in anteprima le annate 2021 dei due Gran Selezione Vigne di Montornello e Vigna del Capannino. La nostra degustazione
C’è un detto toscano che recita: “non si frigge mica con l’acqua” e che significa, più o meno, che le cose vanno sempre fatte per bene. Sarà per questo che la toscana Tenuta di Bibbiano ha scelto Autem* - il ristorante di un altro toscano, chef Luca Natalini - per presentare in anteprima i nuovi millesimi 2021 dei cru Vigne di Montornello e Vigna del Capannino. Perché, se c’è da “friggere” in padella qualche novità, meglio farlo con il miglior olio toscano oggi in circolazione. Le due nuove annate dei Chianti Classico Gran Selezione sono state presentate in abbinamento con il menu di Natalini anche per ripetere a voce alta una grande verità: che il Chianti Classico è un vino da fine dining, e che dovrebbero essere ben lontani i tempi in cui questa denominazione faceva venire in mente principalmente il fiaschetto a pochi euro. Con rispetto parlando del fiaschetto.
Prima di venire al punto (ai vini), qualche numero per darci un’unità di misura: Tenuta di Bibbiano, già contemplata nel catasto del 1498 della Decima Repubblicana, è di proprietà della famiglia Marrocchesi Marzi dal 1865 ed è oggi condotta da Tommaso Marrocchesi Marzi, quinta generazione della famiglia. Dei 220 ettari di proprietà, tutti certificati biologici, 120 sono dedicati a seminativi come cereali e leguminose, 15 a uliveto, 30 sono occupati dal bosco: i vigneti si distendono su una superficie di circa 40 ettari, posti tra i 270 ed i 310 metri di altitudine, su declivi collinari che godono di una perfetta esposizione e di un ottimo microclima, caratterizzati da sedimenti argillosi di formazione pliocenica, più o meno compositi e ricchi di roccia alberese. Parliamo di viticoltura interamente votata alle varietà autoctone del territorio, a partire dal Sangiovese, e che contempla anche Canaiolo, Malvasia Nera, Ciliegiolo e Colorino tra quelle a bacca nera, e Trebbiano, Grechetto e Malvasia del Chianti tra quelle a bacca bianca.
L’eredità Gambelliana
In Toscana, chi dice Sangiovese spesso dice Giulio Gambelli. Gambelli, che imparò il mestiere dell’enologo direttamente da un certo Tancredi Biondi Santi, è considerato uno dei più grandi interpreti delle uve e del territorio toscano: lavorò, tra gli anni Cinquanta e i Settanta, con Pier Tommaso Marzi e Alfredo Marrocchesi per pianificare i nuovi impianti, stabilire i metodi di invecchiamento, lo stile e il bouquet che i vini dovevano avere. Gambelli, con la sua collaborazione con la tenuta durata dal 1942 al 2004, non ha lasciato solo un’eredità stilistica, ma anche un biotipo di Sangiovese Grosso peculiare della Tenuta di Bibbiano e selezionato con l’Università di Firenze. Un vero e proprio clone-monopole soggetto a registrazione ministeriale, portato qui da Montalcino durante la metà degli anni Cinquanta e ancora oggi alla base della missione - e dei vini - della Tenuta.
Ed eccola, la missione di Tenuta di Bibbiano: creare vini con uve Sangiovese e con altre varietà autoctone la cui autenticità, naturalezza e gusto siano in grado di esaltare il territorio di Castellina in Chianti nel Chianti Classico. Tommaso Marrocchesi Marzi è fortemente convinto che questo sia possibile anche grazie all’armonia con la natura: il suolo delle vigne di Tenuta di Bibbiano non ha mai conosciuto pesticidi poiché l’azienda, anche in passato, ha sempre utilizzato solo ed esclusivamente metodi organici. Del resto, l’adesione all’agricoltura biologica fa parte del patrimonio genetico morale di Tenuta di Bibbiano. “Lavoriamo questa terra da più di 150 anni - ha detto Tommaso Marrocchesi Marzi - e la nostra esperienza testimonia che la natura non tollera la violenza nei suoi confronti, ma che è disposta a premiare in maniera generosa coloro che la trattano con profondo rispetto. Uno di questi premi sono i cloni dell’uva, unici nel loro genere, che siamo riusciti a preservare partendo dai vitigni originali e collaborando con l’Università di Firenze”.
I nuovi millesimi 2021 dei cru in anteprima
Non bisognerà aspettare molto per degustare i millesimi 2021 di Vigne di Montornello e Vigna del Capannino, perché entreranno in commercio nei prossimi mesi; 15mila bottiglie - cifra che cambia in base all’annata - per vini nati poco meno di 40 anni fa con l’obiettivo di aumentare la distintività della produzione in un periodo in cui non si parlava molto di vini provenienti da singole vigne.
I cru fermentano entrambi in vasche di cemento per poi maturare sia in cemento sia in botti di rovere per circa due anni, ma a parte questo hanno identità ben distinte: il Chianti Classico Gran Selezione Vigne del Montornello proviene da diverse parcelle (da qui il nome al plurale) posizionate sul versante nord-est, lievemente più piovoso. Cosa che conferisce al vino una struttura meno imponente a favore però di una bella eleganza e delicata complessità. Il Chianti Classico Gran Selezione Vigna del Capannino si ottiene, invece, dall’omonima vigna di 7 ettari sul versante esposto a sud-ovest e allevata con i cloni di Sangiovese Grosso impiantati per volere di Giulio Gambelli per via della somiglianza di questo luogo con l’area di Montalcino. Abbiamo, in questo caso, un vino più morbido e avvolgente, dotato di una grande sapidità.
Il confronto, in degustazione, tra le annate 2020 e 2021 ci ha permesso di indagare - come moderni aruspici - il futuro di queste interessantissime bottiglie. L’assenza di piogge in una primavera calda ha dato una spinta fenomenale ai cru 2020, evidente nel calice: si tratta di vini che sorprenderanno in invecchiamento, grazie alla loro finezza. Brillante anche l’annata 2021, che grazie al passaggio di venti in vigna ha consegnato vini sugosi ma sempre eleganti, con stratificazioni di bosco - dal frutto alla foglia, con un tocco terroso e sapido proprio del Sangiovese. La finezza - sempre più richiesta nel moderno mercato del vino - si ritrova anche nel Chianti Classico base dell’azienda, ora in commercio con il millesimo 2022, ottenuto da un blend di uve sangiovese coltivate su entrambi i versanti e che affina solo in vasche di cemento.
Per non fare torto anche alle altre uve coccolate nella tenuta, abbiamo degustato anche l’Igt Toscana Bibbianaccio 2018, che unisce al Sangiovese (50%) anche Colorino (45%), Malvasia Bianca del Chianti e Trebbiano (5%). Circa 2.000 bottiglie, che fermentano in piccoli fusti di legno francese e poi maturano per due anni mesi, di cui 12 in tonneaux di rovere francese e 12 in botte di rovere di Slavonia. Duemila ritratti liquidi di un territorio sorprendente, che oggi più che mai merita di essere raccontato. La storia di Autem*, il luogo che ha ospitato l’orizzontale di Tenuta di Bibbiano, viene riscritta ogni giorno su fogli bianchi partendo dal mercato. Una lista di ingredienti che modifica quotidianamente, senza stravolgerli, i capisaldi di un menu ben fatto e basato per davvero sulla stagionalità. Da Autem* si sta bene e, se Luca Natalini non è scaramantico, noi aspettiamo insieme a lui che l’asterisco del nome si trasformi in una stella.