Una retrospettiva a Palazzo Roverella. Nelle tele del pittore danese coetaneo di Munch un intimismo minimalista in chiave nordica

Wilhelm Hammershøi è stato il pittore, anzi il poeta, del silenzio: nei suoi dipinti la vita non urla e perlopiù si nasconde, come un enigma e una sottile inquietudine

di Redazione Itinerari
2 marzo 2025
La stanza è deserta e l’unica ‘presenza’ è quella del gentiluomo ritratto in un quadro appeso alla parete. C’è un...

La stanza è deserta e l’unica ‘presenza’ è quella del gentiluomo ritratto in un quadro appeso alla parete. C’è un...

La stanza è deserta e l’unica ‘presenza’ è quella del gentiluomo ritratto in un quadro appeso alla parete. C’è un elegante divanetto, e accanto due sedie. Nient’altro. E da una finestra (fuori scena) entra la luce del giorno che prova ad accendere il grigio e il verde tenue di un interno domestico raccolto, spoglio e soprattutto silenzioso. Wilhelm Hammershøi (nato a Copenaghen nel 1864, morto nel 1916) è stato il pittore, anzi il poeta, del silenzio: nei suoi dipinti la vita non urla e perlopiù si nasconde, come un enigma e una sottile inquietudine.

Coetaneo di Edvard Munch, interpretò un intimismo minimalista, con uno spirito prettamente nordico. Famoso in vita, pressoché dimenticato dopo la sua morte, è stato "un protagonista appartato ma certamente fondamentale dell’arte tra la fine dell’800 e il primo quindicennio del XX secolo", sottolinea Paolo Bolpagni che cura la prima, grande retrospettiva italiana dedicata ad Hammershøi, aperta fino al 29 giugno a Palazzo Roverella di Rovigo, grazie alla Fondazione Cariparo. Le opere dell’artista, concesse da musei e collezioni internazionali, dialogano con dipinti di altri autori coevi, anche italiani che – aggiunge Bolpagni – "pur con sfumature diverse, praticarono una poetica basata sui temi del silenzio, della solitudine, delle ‘città morte’, dei paesaggi dell’anima".

Hammershøi dipinse soprattutto interni domestici, e in particolare le stanze della sua casa di Strandgade 30 a Copenaghen dove visse diversi anni con la moglie Ida. Quasi sempre gli ambienti appaiono ordinati, tranquilli e irriducibilmente solitari, con colori tenui sui toni del grigio. Qualche volta vi compaiono figure umane, soprattutto le donne di famiglia: Hammershøi le mostrava di profilo, intente alle loro attività domestiche, e inventò anche il ritratto ‘di spalle’ che accentua ancor più il senso di mistero, di incomunicabilità e perfino di angoscia.

Fra le opere più celebri in mostra, c’è appunto la tela ’Riposo’ del 1905 che venne acquistata negli anni ‘90 dal Musée d’Orsay di Parigi e segnò l’avvio della riscoperta dell’autore: Ida, la moglie di Hammershøi, è seduta ma noi non vediamo il suo viso, perché il pittore ce la presenta soltanto di spalle, con i capelli raccolti e la nuca scoperta.

Su tutto regna il silenzio, lo stesso silenzio che Hammershøi mantenne per tutta la sua vita: non fu autore prolifico, non pubblicò testi sulla sua poetica, non rilasciò interviste. Viaggiò molto e per tre volte visitò l’Italia ma ne ricavò un unico dipinto, dedicato – va da sé – a un interno, quello della chiesa di Santo Stefano Rotondo a Roma, dove ovviamente la figura umana è del tutto assente. Anche quando il mondo dell’arte lo fece scivolare nell’oblio, il cinema si ricordò di lui: registi come Ingmar Bergman e soprattutto Carl Theodor Dreyer trassero sicuramente ispirazione dalle sue ambientazioni. Che ancora oggi ci interrogano e ci suggeriscono segreti non detti.

Info; www.palazzoroverella.com