Tra i palazzi di Pisa il murale di Haring

di FRANCESCA BIANCHI
3 marzo 2022

passanti murale

Una danza di colori in mezzo a strade e palazzi. Dove meno te lo aspetti, eccolo lì, monumentale e lieve allo stesso tempo. “Io non do mai un titolo a niente… Nemmeno questo dipinto ne ha uno, ma se dovesse averlo sarebbe qualcosa come… Tuttomondo!’. Keith Haring pronunciò questa frase guardando il murale appena terminato. Giugno 1989: l’artista arrivato da New York come un alieno aveva regalato alla città di Pisa il proprio testamento spirituale. Una enorme parete, sul retro di un convento a pochi passi dalla stazione ferroviaria, con trenta figure e altrettanti significati. Due letture: quella più immediata che incanta l’occhio del passante, diverte i bambini, ti avvolge di allegria. E quella che emerge da ogni figura: l’inno alla vita di un artista che stava per morire. Avvenne sei mesi dopo. Keith Haring aveva solo 31 anni. Quando giunse a Pisa sapeva di essere malato, l’Aids era già arrivato all’ultimo stadio. Ma nella città conosciuta in tutto il mondo per il suo campanile pendente, decise di regalare a tutti un murale destinato a durare, allestendo una festa spontanea e gioiosa. Opera d’arte, happening, performance, una parete che parla di amore universale e che oggi è diventato il secondo monumento più fotografato e ammirato dopo la Torre, tutelato dalla Soprintendenza, amatissimo dai turisti. Convivenza perfetta. Un’avventura che aveva dell’incredibile. A rendere possibile l’arrivo di Keith Haring, artista omosessuale, fondatore di un nuovo genere tra street e pop art, fu un incontro casuale con uno studente pisano, nelle strade di Manhattan. La città si mise a sua disposizione. Scommise, uscendo dai consueti binari, su un’opera che avrebbe potuto essere vissuta come un’intrusione rispetto al contesto storico, artistico e architettonico pisano. Ma non è stato così. Merito anche dello stesso Haring che decise di lasciarsi ispirare dai colori dei palazzi dei lungarni, mettendo al centro del murale la croce pisana, sincero tributo alla città che gli stava donando una ultima, meravigliosa opportunità: 180 metri quadri di ‘tela bianca’, 30 figure, quattro giorni di festa di strada, un messaggio di amore e fratellanza per tutti. Oggi sono passati 30 anni, o poco più. Palazzo Blu (palazzoblu.it) ospita fino ad aprile la mostra dedicata ad Haring che ricollega idealmente Tuttomondo al fiume Arno, al centro di Pisa, esponendo circa 170 opere mai viste in Europa. Nel frattempo al murale sono stati dedicati libri (tra le ultime uscite ‘Pisa è Tuttomondo’ di Marchetti Editore per i più piccoli, e  ‘Tuttomondo di Keith Haring’ uscito per le Edizioni Ets), omaggi e celebrazioni. Nei suoi diari, l’emozione di quei giorni intensi e frenetici, interrotti da attimi contemplazione di una città che lo aveva conquistato e che l’aveva accolto senza neppure chiedere un bozzetto preparatorio: “Sto seduto sul balcone a guardare la cima della Torre Pendente. È davvero molto bello qui. Se c’è un paradiso, spero che assomigli a questo”.  
NAPOLI

Maradona lo scugnizzo Dio del calcio e di una città

È stato un idolo durante i suoi anni napoletani, è diventato un mito dopo la sua prematura dipartita. Maradona per la città partenopea è un nume tutelare ancora e sempre di più percepito come la vera anima dei suoi luoghi più autentici. Ed è proprio in due degli angoli più popolari e pittoreschi che il ‘Pibe de oro’ campeggia ora in altrettanti ritratti murali, oggetto di continui pellegrinaggi da parte dei tifosi azzurri e non. A San Giovanni a Teduccio, in via Taverna del Ferro, il gigantesco murales realizzato e donato alla città dal noto street artist napoletano Jorit si chiama ‘Dios Umano’. Ma quello che viene considerato il murales di Maradona è quello di via Emanuele de Feo, 60. L’opera fu realizzata nel 1990 dall’artista Mario Filardi per celebrare la vittoria del secondo scudetto del Napoli ed è stata poi restaurata nel 2016 da Salvatore Iodice. Lo stesso autore che ha collaborato anche alla realizzazione, sempre ai Quartieri Spagnoli (vico Giardinetto) di ‘Mano de Dios’ dell’argentino San Spiga che ha voluto effigiare il famoso gol di mano ai Mondiali 1986 contro l’Inghilterra. Fuori dal centro Paradiso di Soccavo campeggia un altro murales realizzato dal napoletano Mario Farina, che ritrae il ‘Pibe de Oro’ seduto su un pallone insieme alla figlia Dalma.  
PADOVA

Il murale record da 4mila metri quadri

L’impianto idrico comunale di Padova (via Bottazzo) ospita dal giugno scorso il più grande murales italiano. L’opera di street art, realizzata dal collettivo di artisti francesi ‘La Cremerie’ nell’ambito della manifestazione ‘Super walls-Biennale di street art’, occupa una superficie di circa 4.000 metri quadri, e ha richiesto l’utilizzo di oltre 200 bombolette per circa 600 litri di colore in un’esplosione di giallo, rosso, verde, fucsia, azzurro. Padova Urbs Picta (in latino città dipinta) è dall’estate 2021 inserita nella lista del patrimonio mondiale Unesco e così come nel Trecento tra Cappella degli Scrovegni e Chiesa degli Eremitani, tra Palazzo della Ragione e Cappella della Reggia Carrarese, tra Battistero della Cattedrale e Basilica e Convento di Sant’Antonio, tra Oratorio di San Giorgio e Oratorio di San Michele la città divenne capitale dell’affresco, così anche oggi l’arte del terzo millennio ha preso possesso di edifici cittadini industriali e di servizio, le cattedrali della contemporaneità.  
DOZZA

Il borgo medievale dipinto. Galleria d’arte a cielo aperto

C’è in Emilia Romagna un borgo che è un murale senza soluzione di continuità. Dozza ha infatti tutti i suoi muri tappezzati di opere di street art, il che le è valso l’appellativo di borgo dipinto. Dal 1960, quando ha avuto luogo la prima edizione della Biennale del Muro Dipinto, che ha luogo ancora oggi nel mese di settembre, oltre 200 artisti di fama nazionale e internazionale hanno lasciato il loro inconfondibile segno sulle pareti delle case. Abbarbicata sulle romantiche colline dominanti la valle del fiume Sellustra, tra Castel San Pietro Terme e Imola, ha case, strade e piazze ricoperte da affascinanti murales. L’opera più famosa è sicuramente ‘L’Angelo di Dozza’ (1993) di Giuliana Bonazza che rappresenta una figura umana appoggiata dolcemente a una porta di via XX Settembre da cui emana un grande senso di pace e protezione.