Rinascimento green nel cuore dell'Umbria
Il futuro, diceva Nietzsche, influenza il presente tanto quanto il passato. Cosa c’entra con il vino, e con l’Umbria? C’entra, eccome. Perché se vi fate un viaggio tra le cantine più spettacolari del nostro celebrato ‘Cuore Verde’, non sarà difficile immaginarla e vederla quella linea sottile che collega e coniuga i tempi dell’uomo, anche nel vigneto. A raccontarlo bastano le strutture, le pietre e le loro evoluzioni. La prendo larga, per dire che l’Umbria del vino nelle sue immagini più suggestive si racconta per immagini capaci davvero di stupire, e di incarnarsi come segni dei tempi. E parto a ritroso, in un viaggio che comincia… sotto il guscio di una tartaruga. Già, un Carapace: si chiama così, la cantina che la famiglia Lunelli – quella che è famosissima ovunque per gli spumanti trentini Ferrari, ma fa vino anche sulle colline pisane, e s’è acquistata un gran nome del Prosecco come Bisol – si è costruita a Castelbuono di Bevagna, un tiro di schioppo da quella nuova ‘capitale’ del vino che è Montefalco, la terra del Sagrantino… Diciamolo subito: Carapace non è solo una cantina, ma è anche un’opera d’arte. Una scultura: e non potrebbe essere diverso, visto che la firma è quella di Arnaldo Pomodoro, amico dei Lunelli da vecchia data e già presente sul percorso per aver creato anche Centenarium, la scultura che celebra il primo secolo delle cantine Lunelli. Un’opera che ricorda la costruzione delle cattedrali rinascimentali, una ‘bottega’ al lavoro per sei anni, uno studio attento delle forme e dei materiali, dominato dal ricordo che Pomodoro ha sempre ammesso del Montefeltro, sua terra natia, e i dipinti di Piero della Francesca. Con l’architetto Giorgio Pedrotti che l’ha affiancato per gli aspetti tecnici, Pomodoro ha ideato una enorme cupola di rame solcata da crepe che ricordano quelle dei terreni tutt’intorno, con accanto un dardo rosso conficcato nel terreno, segno tangibile di concretezza terrena. La stessa concretezza che, in questo viaggio a ritroso, ci fa fare un salto all’indietro di centroquarant’anni per raggiungere il 1884, quando il principe Boncompagni Ludovisi fece costruire, sempre nei pressi di Montefalco, la cantina Scacciadiavoli, nome che riporta – si dice – a un esorcismo finito bene proprio perché condotto a colpi di… vino rosso. Per l’epoca, un’opera di attenta ingegneria molto moderna, che ha concepito una imponente struttura su quattro livelli, di cui uno sotterraneo, in cui tutta la produzione avviene per quattro livelli. E il nostro percorso si sposta verso ovest di un’ottantina di chilometri, poco oltre Orvieto. Ma arretra nel tempo di mezzo millennio: risale al 1350 la costruzione del Castello della Sala, da cui nascono bianchi celeberrimi come il Cervaro e il Muffato della Sala. Che ancora riposano nei legni nascosti nell’antica cantina di affinamento, sotto le antiche pietre sorvegliate dalle torri che circondano l’armoniosa struttura del castello. Armonia, già, ecco la chiave.