Orvieto, dagli Etruschi al debutto nel Metaverso

di MONICA GUZZI
16 marzo 2023
orcopertina

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Luca Signorelli, autore della splendida decorazione della cappella di San Brizio nel Duomo di Orvieto, fu pagato in vino. Pietro Perugino per gli affreschi nella sua Città della Pieve ebbe in cambio una mula.

Quest’anno l’Umbria ricorda con mostre ed eventi i cinque secoli dalla morte dei due grandi maestri visionari (Michelangelo studiò i nudi di Signorelli per la sua Cappella Sistina), la cui storia quotidiana testimonia lo stretto legame con il loro territorio. Orvieto, Signorelli, il vino: una città dalla storia antica, che significa soprattutto arte, territorio, terra da coltivare e buona tavola.

Il Duomo

Cominciamo proprio da qui, dalla grande fabbrica avviata nel 1290 per volontà di papa Niccolò IV per creare un’unica grande cattedrale al posto delle due chiese preesistenti sulla piazza. Un’opera monumentale durata secoli: solo alla facciata dedicata alla storia di Maria, un unicum dal punto di vista formale e una meraviglia fatta di mosaici colorati e bassorilievi per chi vi approda dai vicoletti che portano al grande piazzale, lavorarono una ventina di artisti. Di meraviglia in meraviglia, si approda al transetto. A sinistra c’è la Cappella del Corporale, custode del miracolo del Corpus domini. Fu realizzata a metà del Trecento  per conservare la preziosa reliquia del lino insanguinato macchiatosi del sangue sprizzato dall’ostia durante la celebre messa di Bolsena. Un miracolo che a Orvieto si celebra nella Pentecoste, con l’infiorata dentro le chiese del centro storico.

A destra la cappella di San Brizio, decorata un secolo dopo da Signorelli, che subentrò al Beato Angelico. Un’opera anticipatrice dei tempi, che attinge dalle Storie dell’Apocalisse e dalla Divina Commedia, per raccontare il passaggio dall’ottimismo rinascimentale alle nuove inquietudini, anticipando le forme e i temi  della Sistina.

Il museo Faina e il regno degli etruschi

Il grande palazzo è proprio di fronte al Duomo e dalle sue finestre si gode una vista impareggiabile sulla facciata, frutto di tre secoli di lavoro e delle mani di tanti artisti. Fu donato alla città dalla famiglia Faina e rappresenta una delle maggiori raccolte archeologiche  italiane.  Accoglie un monetiere composto da oltre tremila monete, reperti preistorici e protostorici, buccheri, vasi figurati etruschi, bronzi e gioielli. Di grande importanza una serie di vasi attici a figure nere e a figure rosse attribuiti ai maggiori ceramisti di Atene.

Il pozzo di San Patrizio e la città nascosta

Sotto la rupe c’è una città segreta da dove è possibile cominciare un viaggio dagli etruschi ai giorni nostri. Il pozzo di San Patrizio, sorprendente opera di ingegneria voluta durante il sacco di Roma (1527) dal papa in fuga Clemente VII e inserita fra i Musei dell’Acqua dell’Unesco. Il papa si era rifugiato nell’imprendibile rocca e per rifornire la città di acqua e resistere all’assedio, decise di mettere mano a questa imponente opera. Il pozzo ha  le scale a doppia elica che arrivano fino al livello dell’acqua per poi risalire da una profondità di 70 metri. Oggi è ancora percorribile, ha un’illuminazione suggestiva, ed è al centro di tante manifestazioni, a partire dalla festa di San Patrizio, il vescovo che convertì l’Irlanda e visse in penitenza in grotte simili a quelle in tufo di Orvieto. La visita prosegue attraverso Orvieto underground, le fornaci del Pozzo della Cava, le cisterne etrusche del Labirinto di Adriano e i sotterranei della chiesa di Sant’Andrea.

Il vino

La bevanda degli etruschi e dei papi non poteva mancare in questa terra, fino a prendere il nome dalla stessa città, l’Orvieto doc, prodotto da oltre 30 cantine del territorio.  Ma soprattutto qui vino significa famiglia Cotarella, il Muvis e la scommessa di Intrecci. Trasferiamoci a Castiglione in Teverina,  dove sorge il Muvis, museo del vino e delle scienze agroalimentari. La sede scende fino a quattro piani sotterranei, per arrivare  a 26 metri sotto terra nella “cattedrale”, che custodisce le più grandi botti: risalgono al 1942 e custodivano 27mila litri di vino, pari a 270 ettolitri l’una. Il complesso era la sede dell’impero enologico dell’imprenditore romano, il conte Romolo Vaselli, che negli anni Quaranta acquistò le cantine da un altro nobile e le rimodernò, avviando una produzione di qualità. I vini, in particolare l’Orvieto classico doc Vaselli e il Sangiovese Santa Giulia, insieme a spumante, vermouth e aceto, portarono al successo il marchio  fino al 1994, quando l’azienda cessò l‘attività. Qui lavorava Riccardo Cotarella: sarebbe diventato l’enologo più famoso del Paese.

Oggi le cantine ospitano il Muvis, celebre museo del vino, mentre il resto del complesso è diventato il cuore di una grande scommessa della famiglia Cotarella: Intrecci. Qui Dominga, figlia di Riccardo e nipote di Renzo, guida l’Accademia di Sala e Accoglienza rivolta all’alta ristorazione, un percorso di 12 mesi riservato ai giovani sotto i 30 anni che si conclude con un tirocinio nelle più note strutture d’eccellenza. ”Il vino fa crescere il territorio – riassume Dominga – questa struttura già c’era, è un tesoro del paese, noi ci facciamo alta formazione e qui vengono da tutto il mondo a insegnare”.

A cinque minuti c’è la tenuta di Montecchio della famiglia Cotarella, che lega il suo nome a quelli dei fratelli Riccardo e Renzo e alle nuove generazioni: Dominga, Marta ed Enrica. Un brand che raccoglie sotto di sé il meglio della produzione e tutte le competenze sviluppate ed acquisite nel corso degli anni: partendo da Falesco ed arrivando a Cotarella, passando per Le Macioche, tenuta nel cuore del Brunello di Montalcino, e Liaison, per chiudere il cerchio con la Scuola di Alta Formazione di Sala. L’azienda è stata fondata nel 1979 a Montefiascone dai fratelli Riccardo e Renzo, due enologi profondamente radicati in questa terra a cavallo tra Lazio e Umbria, che nel corso degli anni hanno ricoperto importanti cariche nel settore del vino. Nel comune di Montecchio, sulla collina a sud di Orvieto, sorge la Cantina circondata da circa 260 ettari piantati a Merlot, Cabernet, Sangiovese, Verdicchio e Vermentino, e su cui sono state impiantate numerose varietà sperimentali. La zona compresa tra Montefiascone e il Lago di Bolsena, in provincia di Viterbo, accoglie invece i vigneti storici dell’azienda su cui si coltivano i vitigni autoctoni Roscetto, Aleatico, Trebbiano e Malvasia, e alcune varietà internazionali, come Merlot, Syrah e Viognier, che dimostrano la vocazione alla qualità delle terre laziali.

La buona tavola

Due locali veraci, sempre pieni (meglio prenotare) e a buon mercato nel cuore di Orvieto, città sempre più europea sul fronte dell'accoglienza.  Da cinquant’anni Averino Baffo conduce con la moglie “La Mezza Luna”, a pochi passi da Palazzo Piccolomini, appartenuto alla famiglia papale, tutelato dalle Belle arti e oggi trasformato in un suggestivo e tranquillo hotel quattro stelle. La vicina trattoria è nata in locali precedentemente adibiti alla mescita del vino e prima ancora a stalle al piano terra di una palazzo del Quattrocento. La specialità: carbonara, amatriciana, lombrichelli all’etrusca con salsiccia e funghi, e poi carne. Vicino al piazza della Repubblica sorge un altro locale molto frequentato: la Palomba di Giampiero Cinti. Il padre era un cuoco contadino e Giampiero portava gli spaghetti al ragù ai militari. Qui i pici toscani si chiamano “umbrichelli”: da non perdere quelli all’arrabbiata, all’amatriciana e al tartufo.