Nick Hunt sui sentieri di sabbia e di ghiaccio
Il suo primo viaggio fu una sostanziale delusione. Imbarcatosi con mamma e nonna per la Grecia, il piccolo Nick Hunt, che allora aveva sei anni, immaginava che avrebbe incontrato cavalli come mezzi di locomozione e invece, con suo grande disappunto, anche là circolavano automobili come in Inghilterra. "Probabilmente speravo di ritrovarmi nell’antica Grecia. E quell’esperienza mi rimase in testa per anni come una vivida allucinazione tanto da indurmi, fin da allora, a desiderare di viaggiare". E ancora oggi, quasi trent’anni dopo, l’avventura ancestrale è la sua passione e il suo mestiere. L’ultima impresa editoriale ’Sentieri di sabbia e di ghiaccio’ (Mimesis Edizioni) che presenta in ’prima’ italiana il 3 novembre alle 19 al Teatro San Giorgio di Udine nell’ambito del festival Mimesis (fino al 29 e poi dal 3 al 5 novembre con 70 voci a confrontarsi sul tema della trasformazione digitale vista con l’occhio della filosofia con attribuzione del Premio Udine Filosofia al saggista tedesco Peter Sloterdijk e al francese Pierre Lévy) riflette viaggi nelle terre estreme d’Europa dove si è imbattuto in paesaggi che parrebbero lontani anni luce dal civilizzatissimo nostro continente. E invece in Scozia ci si può inoltrare nella tundra artica, in Polonia e Bielorussa in foreste vergini e in canyon rocciosi in Spagna. Cos’è rimasto di quel bambino affascinato dall’ignoto in questo viaggio che dal presente conduce ad habitat quasi primitivi? "E’ un viaggio dell’immaginazione come facevo fin da piccolo che in parte ne realizza i presupposti, ovvero trovare paesaggi glaciali, montagne innevate, foreste che parrebbero eterne e invece stanno sparendo o sono già sparite. Rendersi conto sul campo del cambiamento climatico è stato come perdere l’innocenza e nello stesso tempo ammettere con me stesso la mortalità personale e del mondo". Quindi le missioni estreme sono nel suo Dna? "Parlerei di spirito selvaggio. Io mi sono sempre sentito bene nella natura o a casa ma lontano dalla città. Come dimostra il libro, spesso questi ambienti non sono in capo al mondo ma prossimi sebbene nascosti alla vista. E negli anni il mio interesse si è proprio indirizzato verso lo stravagante alle porte di casa". Il suo libro può essere usato anche come guida per chi voglia ricalcare le sue orme? "Mentre spero che possa spingere la gente a viaggiare, non la riterrei una guida. Non potrei mai incoraggiare a mettere a repentaglio la propria vita per emularmi dormendo nel deserto. Mi perdo spesso, per cui spero di divertire il lettore ma senza indurlo agli stessi errori". Come avviene la scelta delle destinazioni? "Da una lunga lista iniziale di posti fuori dalle rotte battute escludo quelli che presentano caratteristiche ambientali e geografiche simili. Amo i forti contrasti: caldo e freddo, foresta e deserto, montagne e pianure". Dove è rimasto più impressionato? "Il deserto di Tabernas in Spagna mi ha impressionato in senso viscerale a causa egli effetti fisici di un caldo da paura. Il parco nazionale di Hortobágy nell’Ungheria delle steppe mi è rimasto impresso per la sua stranezza. Un posto irreale e misterioso". Dove ha riscontrato invece la più preoccupante fragilità naturale? "Nel Parco Nazionale dei Cairngorms c’erano gli unici residui permanenti di neve mentre ora ogni anno arretrano. Nel deserto di Tabernas il caldo è sempre più estremo. Ma in ogni dove si guardi si notano effetti secondari del cambiamento climatico come nelle infestazioni di Bostrico dell’abete rosso che hanno aggredito la foresta Bialowieza in Polonia o nei cambi di rotte migratorie degli uccelli delle steppe ungheresi". Dove le piacerebbe andare? "Non sono mai stato in Asia Centrale. Mi piacerebbe visitare le Tian Shan Mountains".