Si doveva chiamare
Emilia Lunense, poi Lunezia, e doveva andare da
La Spezia a Mantova, da Piacenza a Reggio Emilia, con
Parma quasi al centro. Anche se l’obiettivo, soprattutto di chi nel tempo ha provato a rilanciarla, sarebbe proprio quella di farne una
comunità regionale senza un capoluogo centrale ma con una formula che valorizzi le città ‘minori’, se così possono essere chiamati i capoluoghi di provincia.
La Emilia Lunense
La mappa dell'Italia con l'indicazione di dove si troverebbe la Lunezia, regione mai attuata tra Mantova e La Spezia, Piacenza e Reggio Emilia
La Regione venne effettivamente istituita nel 1946 dalla Costituente ma venne poi ‘sospesa’, in attesa di ulteriori studi, e mai realizzata. Lo scopo era
rendere omogeno un territorio, quello delle
Alpi Apuane ovvero alla catena montuosa dell'
Appennino Settentrionale, che si estende "per quasi 60 chilometri, tra la
pianura costiera apuana e la giogaia appenninica principale, tra i fondivalle del Serchio (Garfagnana) e della Magra (Lunigiana). La maggiore cima è il
Monte Pisanino, alto 1946 metri” (Treccani). Invece l’Emilia Lunense, che avrebbe dovuto nascere accanto all’Emilia Romagna e che venne ribattezza Lunezia proprio per distinguersi da quest'ultima, rimase appunto ‘sospesa’ come regione di tipo amministrativo e il suo territorio venne ‘spezzettato’ e suddiviso tra le regioni limitrofe:
Lombardia a Nord, Liguria ad Ovest, Toscana a Sud, Emilia-Romagna ad Est.
Comuni e abitanti
La Lunezia avrebbe dovuto comprendere, ha calcolato l’
associazione culturale Regione Lunezia che da tempo chiede che venga data attuazione alla Regione prevista dalla Costituente, in teoria, 343 comuni (per un totale di circa 2,5 milioni di abitanti) appartenenti alle attuali
province di La Spezia, Massa Carrara, Lucca, Reggio Emilia, Parma, Mantova, Cremona e Piacenza che si trovano tutte intorno all’asse centrale del
corridoio europeo Tirreno - Brennero, considerato potenziale snodo di collegamento
tra Nord Europa e Mar Ligure. Si tratta di realtà geografiche spesso considerate ‘terre di mezzo’ o periferiche rispetto alle regioni di appartenenza.
Apuani e Lunigiani
Le Alpi Apuane
Gli
Apuani erano un’antica popolazione di
stirpe ligure stanziata tra le valli del Serchio e della Magra. Le alpi apuane sono conosciute per la produzione del caratteristico e pregiato marmo estratto nella zona di Carrara. Ma la differenza, spesso, sta nel piatto in tavola. La
Lunigiana prende invece il nome dalla
città di Luni (il nome Lunezia deriva proprio dalla somma di
Luni e La Spezia, Lun-ezia), dove sgorga il Magra, e corrisponde al bacino idrografico del fiume Magra. Storicamente controllava i territori delle attuali province di La Spezia, presso Pietrasanta nell'attuale provincia di Lucca, oltre ad un minuscolo territorio ubicato nel comune di Albareto, attualmente in provincia di Parma. Attualmente la Lunigiana è
divisa tra Liguria e Toscana, e i territori che facevano parte dei ducati di Parma e Piacenza e di Modena e Reggio, ossia
Emilia, Apuania e Garfagnana.
Leggi anche: La Via dei Monti (o de Pontremolo): cammino storico tra Levanto e Pontremoli nella terra di Lunezia
Viaggio attraverso la Lunezia
La Lunezia potrebbe avere una forte valenza come
regione al centro d’Europa, sottolineano i sostenitori della nuova realtà cultural-amministrativa. Ma cosa caratterizza i territori apuani e lunigiani rispetto, in particolare, a quello romagnoli, ma anche del sud della Lombardia, dell’est della Liguria, e del nord della Toscana?
I valichi: Cisa e Lagastrello
La città di La Spezia
Dal punto di vista economico la Lunezia, secondo i suoi promotori, potrebbe appunto configurarsi come corridoio europeo tra il Brennero e lo sbocco sul Tirreno, col potenziamento del porto di La Spezia e l‘istituzione di un’eventuale Zona Logistica Semplificata, come sta avvenendo in Veneto e in altre realtà. Di sicuro esiste già l’
autostrada della Cisa, che ha origine a Parma e s'inerpica poi lungo la
valle del Taro (uscite Fornovo di Taro, Borgo Val di Taro e Berceto)
in Emilia. L’A15 supera dunque l’appennino tosco-emiliano al
passo della Cisa, attraverso una galleria, e prosegue in
Lunigiana (le uscite sono Pontremoli e Aulla, in Toscana). A
Santo Stefano di Magra, a pochi chilometri da
La Spezia (Liguria) c’è l'innesto con l'autostrada A12 per dirigersi verso la Riviera ligure o la Versilia (mar Tirreno). Fino al 2017 la gestione è stata quasi interamente a carico dell'Autocamionale della Cisa Spa, in quanto la strada venne fortemente voluta appunto da
imprenditori di Parma e La Spezia. Ora è in capo a Società Autostrada Ligure Toscana. L’intera tratta della Cisa coincide con la
strada europea E33. Il collegamento pubblico avviene attraverso la
linea ferroviaria Pontremolese, che parte da Parma e consente di raggiunge anche La Spezia. Dal punto di vista logistico sono importanti, oltre a quello della Cisa, anche i
passi del Lagastrello e del Cerreto.
Il marmo, i ducati e la Francigena
Il marmo pregiato e tipico della zona di Carrara
Ma, infrastrutture a parte, le eccellenze già esistenti sono ad esempio il
pregiato marmo di Carrara, lo sbocco, appunto, sul
Mar Ligure, e, dal punto di vista, turistico, la varietà dell’offerta dell’entroterra con gli innumerevoli
percorsi naturalistici e fluviali, la
storia dei ducati (della Lunigiana, della Garfagnana, dell'Emilia, del Granducato della Toscana), la zona della
Val d’Enza e della Val Cieca, dove l’acqua sgorga purissima, il
passo del Lagastrello, antica
strada delle cento miglia che collegava Parma a Lucca passando appunto per Luni, le valli dei cavalieri, le corti vescovili. La Lunezia è attraversata dalla
via Francigena, antico cammino spirituale che portava dal nord Europa fino a Roma, che si intende sempre più valorizzare.
Lunezia terra del gusto
Torta d'Erbi (credits visitlunigiana.it)
Dal punto di via enogastronomico è difficile fare un sunto di una terra dalle
caratteristiche ‘mari e monti’ con un po’ di
terra padana.
Mantova è nota per la sua zucca e derivati,
Cremona per il torrone,
Parma per il Parmigiano. In
Lunigiana, terra ricca di funghi, sono famosi piatti come i
testaroli, considerati la
prima pastasciutta d’Italia, oggi uno dei
presidi tutelati da Slow Food, i
panigacci, forme di pane non lievitato da servire con salumi o formaggi, la
spongata, dolce tipico realizzato in particolare durante le feste natalizie, diffuso nelle province di Piacenza, Parma, Reggio Emilia, Modena, Massa-Carrara e La Spezia, anche se quella più celebre è di
Corniglio, fatta con pane abbrustolito, mandorle, noci, miele, zucchero, pinoli, uva. Ci sono poi
la torta di patate, la torta d’erbi, sfoglia salata in cui vengono rinchiuse e cotte le
verdure ed erbe spontanee di ciascuna stagione tritate, condite con olio, sale e formaggio parmigiano o pecorino, la
barbotla, o barbotta, tortino salato coi fiori di zucca, formaggio e latte. Tra i
sapori apuani il lardo di Colonnata, gli Gnudi, gnocchi di spinaci e ricotta, le
verdure ripiene, piatto ligure apuano, i
Tordelli ravioli ripieni di carne e conditi con il ragù, il
baccalà marinato e i
befanini, dolci tipici dell’
Epifania.
Leggi anche: Le 100 regioni del mondo dove si mangia meglio, Italia al top: prima la Campania, segue l’Emilia Romagna
Le Regioni italiane
Oggi, ci si può sentire molto ‘lombardi’, ‘umbri’, ‘calabresi’, immaginando che le regioni rappresentino un’
identità di appartenenza. A darcene prova sono gli
accenti dialettali, gli usi e costumi. In realtà le
20 regioni italiane nascono in zone omogenee ma sono state create come
enti amministrativi solo con la Costituzione della Repubblica Italiana, entrata in vigore il 1º gennaio
1948, e le prime elezioni regionali si tennero
nel 1970, poco più d 50 anni fa. E sono diverse quelle che uniscono, già nel nome dei territori, aree che vantano proprie peculiarità, storiche, culturali, anche linguistiche: come
l’Emilia Romagna, il Trentino Alto Adige, il Friuli Venezia Giulia.
Origine 'catastale'
In realtà però i territori regionali come li conosciamo adesso nascono dopo la seconda guerra di indipendenza (1859) come esigenza di aggregazione e
ridenominazione dei nuovi territori del Regno di Sardegna. L’aggregazione di tipo ‘amministrativo’ procede fino al
1861, con l’Unità d’Italia, incorporando pezzi di penisola che vengono via via “battezzati” dallo stato unitario con sede prima a Torino, poi a Firenze e quindi a Roma. Spiega un articolo pubblicato da
Limes e realizzato dall’
associazione culturale Lunezia che la suddivisione aveva una “
valenza aritmetica: quanti Km quadrati, quanti animali, quanta popolazione, quanti alberi, quanti monti, quanta pianura ecc.”. L’Igm (Istituto Geografico Militare) crea mappe aggiornate del territorio, le racchiude in faldoni catastali, sulla base delle quali “vengono create le regioni: prima il Piemonte poi Lombardia, Veneto”. In base a queste
mappe catastali militari spesso
un fiume, un monte, viene ‘usato’ sulla carta per
delineare un confine, una ‘barriera’ cui oggi poi ci siamo 'rinchiusi'. Un modo di pensare che non è di oggi: basti pensare al Rubicone, piccolo fiume dell'Italia centrale attraversato armato da Cesare contro il volere di Roma quando era limite dei territori controllati dal Senato, innescando la guerra civile:
attraversare il Rubicone oggi è un modo di dire usato in tutto il mondo per intendere di aver superato un confine senza possibilità di ritorno.
Emilia: ex ducati padani
Granducati nel 1859 Parma Modena e Reggio
Ai
territori ex ducali delle zone padane viene dato il nome
Emilia, dall’antica strada imperiale romana. “Ed è proprio con tale denominazione che viene battezzato il neonato Territorio Regio degli ex ducati (1859 decreto Farini n°79). Successivamente, forse per pigrizia burocratica, si cominciò a considerare quei
territori statistici come “unità culturali” omogenee, fino a quando, all’atto della promulgazione della Repubblica Italiana, si sancirono 21 Regioni intendendole non solo come entità statistiche, ma anche come
aggregazioni sociali demografiche economiche e culturali” anche se basate sulle “precedenti valutazioni burocratiche” e “statistiche del dissolto Regno d’Italia”; “le popolazioni vengono aggregate a caso”, sostengono i pro Lunezia. I
luguri apuani e padani, prima un’unica popolazione, vengono divisi di qua e di là dall’appennino, rimarca l’associazione Lunezia. E della Regione dell’Emilia Lunense, prevista e sospesa, ci si dimentica. Suddividere oggi l’Emilia Romagna in Emilia e Romagna (così come già si fece per Abruzzo e Molise), secondo i ‘luneziani’, non avrebbe senso perché bisognerebbe prima “ridefinire l’
Emilia (cioè la Lunezia) e la Romagna (cioè le Romagne)”.
Statuto speciale
Oggi in Italia ci sono
20 regioni, di cui 5 a statuto speciale, quindi con maggiore autonomia: Sicilia, Sardegna, Valle d'Aosta, Friuli-Venezia Giulia e Trentino-Alto Adige (quest’ultimo costituito dalle province autonome di Trento e Bolzano). Solo dal 1970 al 1974, il
Trentino-Alto Adige fu diviso in due regioni autonome: Trentino e Alto Adige. Il
Friuli e la Venezia Giulia vennero accorpati nella regione Friuli-Venezia Giulia e l'Abruzzo e il Molise accorpati nella
regione Abruzzi e Molise, poi scorporata, nel 1963, nelle due regioni Abruzzo e Molise portando a 20 il numero attuale delle regioni.
Ciociaria e Daunia
Trulli di Alberobello, in Puglia
Le spinte verso un
neoregionalismo non partono solo dalla Lunezia. Nel 2015 è stata presentata in Parlamento una
proposta di legge Costituzionale che prevedeva il
passaggio dalle 20 regioni attuali a 31, con le metropoli destinate a diventare territori a sé stanti, ma anche con la nascita, ad esempio, della
Ciociaria, dell’Etruria, della Tirrenia, della Daunia (Foggiano) che si dividerebbe la Puglia col
Salento, dell’Insubria, del Garda, della Valsesia, e con una suddivisione persino delle isole (nord e sud Sardegna, est e ovest Sicilia).
Alta Valmarecchia
Cortina d'Ampezzo
La riforma costituzionale del 2001 ha modificato anche il Titolo V della Costituzione precisando l’iter da seguire per modificare i limiti territoriali delle regioni istituite nel 1948, o creare nuove regioni con almeno un milione di abitanti. La riforma è già stata
applicata nel 2009, con il distacco di alcuni comuni dell’
Alta Valmarecchia che dalle Marche sono passati all’Emilia-Romagna, in ragione “della loro particolare collocazione territoriale e dei peculiari legami storici, economici e culturali”. E questo solo per citare i casi che hanno tentato un
iter istituzionale non limitandosi alle tante
ipotesi suggestive, come il passaggio di
Cortina d’Ampezzo dal Veneto al Trentino. Non si tratta comunque di aggregare diversamente le regioni, di spezzettarle e accrescerle di numero ma ci sono anche ipotesi di creare
maxi regioni come la
Marca Adriatica con Marche, Abruzzo e Molise o il
Limonte con Liguria e Piemonte. Un futuro con Limonte e Lunezia, dunque? Mappe e 'confini' a parte è bene mantenere quella biodiversità alimentare ed enogastronomica che ha fatto assegnare all'Italia il titolo di
miglior cucina al mondo nell'Atlante del Gusto.