Ferrara e il Cinquecento. Dai capricci di Mazzolino al classicismo di Dossi
La mostra "Il Cinquecento a Ferrara" a Palazzo dei Diamanti celebra l'arte rinascimentale estense con capolavori di Mazzolino, Ortolano, Garofalo e Dosso. Un viaggio nell'epoca d'oro della città.
La Ferrara estense di cinque secoli fa era come la città ideale del Rinascimento, abitata dalla bellezza, "e i suoi straordinari pittori – sottolinea Vittorio Sgarbi – sapevano competere con i maestri veneti, toscani o romani". E proprio nella meraviglia dei primi trent’anni di quel secolo d’oro ci accompagna la grande mostra su ’Il Cinquecento a Ferrara’, aperta fino al 16 febbraio 2025 a Palazzo dei Diamanti.
Curata da Vittorio Sgarbi e Michele Danieli con la collaborazione di Pietro Di Natale, l’esposizione è dedicata in particolare a quattro artisti, Mazzolino, Ortolano, Garofalo e Dosso: è la seconda tappa del progetto (avviato lo scorso anno e articolato in quattro mostre) che ripercorrerà le vicende artistiche ferraresi fino al 1598, l’anno in cui gli Estensi dovettero lasciare la città al Papa e trasferirono la capitale del ducato e la corte a Modena.
I 120 capolavori tornati eccezionalmente a riunirsi a Ferrara da musei e collezioni di tutto il mondo sono come un affresco dell’epoca di Alfonso I d’Este (figlio di Ercole I) che fu duca dal 1505 al 1534. Era tramontata la generazione artistica di Cosmé Tura, Francesco del Cossa ed Ercole de’ Roberti, ed emergevano nuovi linguaggi: dapprima Boccaccio Boccaccino, cremonese, portò a Ferrara gli echi di Leonardo e del suo stile, poi iniziarono ad affermarsi nuovi talenti, il gusto anticlassico e la fantasia capricciosa di Mazzolino, la pulsione tenacemente padana di Ortolano, la visione raffaellesca di Garofalo e la maturità di Dosso Dossi che seppe cogliere anche la lezione di Michelangelo.
In particolare, Garofalo fu l’interprete di un classicismo ritrovato: a Roma era rimasto rapito dalle Stanze di Raffaello e ne aveva ripreso la cultura dell’ordine e della norma. Nel 1512 poi arrivò a Ferrara anche Dosso Dossi che con Garofalo lavorò al Polittico Costabili per la chiesa di Sant’Andrea e fu assunto come pittore di corte: in lui i caratteri di Michelangelo (che lo aveva profondamente colpito a Roma) si unirono a influssi di Giorgione e di Tiziano, dando vita a un linguaggio totalmente personale.
Dosso divenne l’artista prediletto da Alfonso, capace di non fargli rimpiangere Raffaello che agli Este aveva promesso opere che poi non realizzò. Ed è sicuramente un’allegoria del duca e della sua passione per l’arte anche la tela di Dosso, concessa dal Castello Reale di Cracovia, che è stata scelta come opera-simbolo della mostra (nella foto grande): nell’abbraccio di un arcobaleno, Giove (ovvero Alfonso) è intento a dipingere farfalle ma non va disturbato, dunque Mercurio, con il classico cenno del dito davanti al naso, indica di fare silenzio alla dama (forse la Virtù) che si sta avvicinando.
"In questa immagine – sottolineano i curatori Sgarbi, Danieli e Di Natale – politica, mitologia e letteratura si fondono con la leggerezza di un’ottava di Ariosto". E ci donano l’emozione di un incanto ritrovato.