Un viaggio, una canzone. Ci sono brani, spesso le hit del momento, che, per ciascuno di noi, si legano ad una meta del cuore o, magari, ad un posto dove vorremmo non tornare. Ma esistono hit intramontabili che fanno parte del ‘
patrimonio culturale’ collettivo che
parlano del viaggio, quello fisico, spirituale ed emozionale allo stesso tempo (che dire di ‘Io, vagabondo?’), e motivi che invece sono proprio
ambientati in un luogo, fino a diventarne quasi il simbolo. Le
melodie da superclassifica di ieri e di oggi sono davvero tante. Ecco dunque un excursus solo tra i testi che evocano inequivocabilmente l’atmosfera di una città. Forse, un po’ tutte, anche le più ritmate, hanno una ‘nota’ di malinconia di sottofondo, ma tra le canzoni dall’umore più
straziante e nostalgico primeggiano Com’è triste Venezia, di Charles Aznavour e Firenza Canzone triste di Ivan Graziani, entrambe legate ad un amore che non c’è più.
Venezia
Com’è triste Venezia – Charles Aznavour
La prima è senz’altro più celebre, come del resto il cantautore, interprete e attore francese,
istrione autodefinito per eccellenza, francese di origini armene (1924-2018), dalla caratteristica voce tenorile vibrata, che nella sua carriera ultrasettantennale ha venduto oltre
300 milioni di dischi e registrato più i 1200 canzoni, tra cui con autori italiani del calibro di Mina, Ranieri, Modugno.
Que c'est triste Venise (scritta da Françoise Dorin) venne incisa per la prima volta nel 1964 in francese, poi cantata in spagnolo (
Venecia Sin Ti), tedesco (
Venedig im Grau), inglese (
How Sad Venice Can Be), per arrivare,
nel 1965, alla più celebre versione italiana
Com'è triste Venezia: il brano è celebre in tutto il mondo, divenendo una hit anche in Sudamerica. Aznavour apre (e chiude) il suo inno alla città lagunare veneta, con grande scoramento: “Com'è triste Venezia Soltanto un anno dopo / Com'è triste Venezia Se non si ama più” e via col Gondoliere che vede lui solo, senza più la sua amata accanto, e non chiede.
Romanticismo senza fine, dunque, per questo classico evergreen.
Firenze
Il caratteristico Ponte Vecchio a Firenze, cantato da Ivan Graziani
Firenze (canzone triste) – Ivan Graziani
Firenze non è solo il titolo della canzone ma è anche l’attacco della prima strofa: “
Firenze lo sai, non è servita a cambiarla” asseriva Ivan Graziani, cantautore (1945 – 1997) in questo brano che è stato in hitparade per quasi tutto il
1980 dopo il debutto al Festivalbar e che è un vero
inno alla depressione (in senso buono). Una “donna da amare in due in comune fra te e me”, un italiano e un irlandese (studente in filosofia), raccontano le strofe, che disegnava e che era strana come quando “gettò i suoi disegni con rabbia giù
da Ponte Vecchio”, altro riferimento iconico alla città toscana. Ma poi Graziani rimane solo a Firenze e “non c’è più nessuno che mi parli ancora un po’ di lei” lamenta, che per questo canta, fino all’esaurimento una
canzone “triste” (parola ripetuta
10 volte di seguito nel ritornello, semmai venissero dubbi), “triste come me”.
Firenze sogna, Claudio Villa - Litfiba
Prima il melodico
Claudio Villa nel 1960 aveva inciso ‘Firenze sogna’, “stretti stretti, cuore a cuore”. Stesso titolo, nel
1985, per i rockettari
Litfiba.
Genova
Genova
Genova per noi – Paolo Conte
Paolo Conte, 87 anni, celebre cantautore e pianista jazz, difficile da racchiude in una definizione (è autore di numerosi inni da Azzurro, successo di Celentano, a Via con me), originario di Asti, negli anni ’70 approda nel capoluogo ligure. E scrive “
Ma quella faccia un po’ così, Quell’espressione un po’ così, Che abbiamo noi, Mentre guardiamo Genova”: cantata dal genovese Bruno Lauzi diventa subito il brano che identifica la città e meglio descrive il
carattere “di quella gente che c’è lì, Che come noi è forse un po’ selvatica; ma la paura che ci fa quel mare scuro, E che si muove anche di notte, Non sta fermo mai”. Anche se poi, scrive Conte in questo splendido brano, “Genova, dicevo, e un’idea come un’altra”.
Bocca di Rosa (Sant’Ilario, Genova), Fabrizio De Andrè
Restando in Liguria e con un cantautore altrettanto celebre che ne è stato il simbolo, una canzone da menzionare, è
Bocca di Rosa, ambientata nel “
paesino di Sant’Ilario” che in realtà è una frazione a sé stante del capoluogo. Scritta e interpretata da
Fabrizio De André (1940-1999), la canzone è stata pubblicata per la prima volta nell'album del 1968 intitolato "Volume 3" e racconta della storia di una donna, soprannominata ‘Bocca di Rosa’ che, arrivata nel paesino, pratica l’amore libero, provocando “
L'ira funesta delle cagnette / A cui aveva sottratto l'osso”. Il testo, in realtà un po’
misogino (“le comari d'un paesino / Non brillano certo in iniziativa”, “una vecchia mai stata moglie / Senza mai figli, senza più voglie / Si prese la briga e di certo il gusto / Di dare a tutte il consiglio giusto”), senz’altro arguto e ironico, scritto da un
menestrello dissacrante, si conclude con Bocca di Rosa costretta a lasciare il paesello (un cartello dice "addio Bocca di rosa / Con te se ne parte la primavera") ma già attesa alla stazione (ligure) successiva, dove il parroco la porta in processione accanto alla Madonna, mescolando “amor sacro e amor profano”.
Bologna
Una immagine caratteristica di Bologna
Piazza Grande (Bologna) – Lucio Dalla
La celebre Piazza Grande, uno dei brani più famosi di
Lucio Dalla, dai più si ritiene riferita a
piazza Maggiore a Bologna, città del cantautore o a
piazza Cavour, dove aveva abitato da ragazzo. In realtà gli autori del testo, Gianfranco Baldazzi e Sergio Bardotti (le musiche sono di Dalla e Ron), dissero poi che si adattava ad ogni piazza Grande o Maggiore, tipica nel nord Italia. La canzone
parla di un clochard, che vive come “
un gatto che non ha padroni come me”, “sotto le stelle in piazza Grande”. La canzone è più una metafora della vita fuori dagli schemi, senza regole: “A modo mio – cantava Dalla nel 1972 - quel che sono l'ho voluto io, a modo mio avrei bisogno di carezze anch'io, a modo mio avrei bisogno di sognare anch'io”.
Dark Bologna (e Il Resto del Carlino) – Lucio Dalla
Non è tra le canzoni più belle o celebri di Dalla ma
Dark Bologna è proprio
dedicata alla città e ne racconta proprio i tratti caratteristici, tra cui l’attesa della stampa e poi la
lettura de “Il Resto del Carlino”, giornale che fa parte dello stesso gruppo editoriale di Quotidiano Nazionale e di
Quotidiano Nazionale – Itinerari. “Lungo l’autostrada da lontano ti vedrò, ecco là le luci di San Luca” canta Dalla e racconta dei caratteristici portici che contraddistinguono la città e che consentono di stare all’asciutto anche quando piove.
Bologna – Francesco Guccini
Il cantautore Francesco Guccini, descrive la città di Bologna come una
tipica donna dell’Emilia Romagna, come “
vecchia signora dai fianchi un po’ molli” col “seno sul piano padano ed il culo sui colli”. Si tratta di uno sguardo affettuoso e malinconico sulla città, che menziona luoghi iconici come la torre degli Asinelli, il campanile di San Petronio, l’Università, i portici: tutti luoghi che sono palcoscenico dove si svolge il dramma quotidiano della vita.
Vespa special, Colli bolognesi - Lunapop
“Ma quant’è bello
andare in giro per i Colli bolognesi se hai una vespa special che ti toglie i problemi”, cantavano nel ritornello di 'Vespa special'
nel 1999 i Luna Pop, guidati da Cesare Cremonini, poi diventato autore singolo. Ancora oggi il brano trasmette un carico di energia e la voglia di salire sui colli, rigorosamente in Vespa.
“Mare, mare”, Bologna – Riccione, Luca Carboni
“
Son partito da Bologna, con le luci della sera” è il successo di
Luca Carboni del 1992 che, in sella alla sua moto, si dirige verso il “mare, mare, sto accelerando e ormai ti prendo” percorrendo la Bologna – Riccione. Il mare è dunque l’Adriatico, quello della
Riviera Romagnola.
Bologna (canzone d’amore) – Samuele Bersani
Samuele Bersani ha dedicato una canzone d’amore alla città, tra ‘denuncia’ e ‘elogio’.
Napoli
Il mare del Golfo di Napoli e il Vesuvio sullo sfondo
Caruso, Napoli – Lucio Dalla
“Qui dove il mare luccica / E tira forte il vento / Su una vecchia terrazza /
Davanti al golfo di Surriento": è l’incipit di “Caruso", scritto e interpretato nel
1986 da Lucio Dalla. È un celebre brano, tra i classici del repertorio italiano conosciuto anche all’estero e reinterpretato da numerosi artisti, dedicato a
Enrico Caruso, uno dei più grandi tenori della storia dell'opera lirica. Parla anche dell’amore di una donna e dei migranti che hanno cercato una vita in America. Ma la nostalgia è forte. La canzone racconta la storia di un amore perduto, con l'autore che immagina Caruso che canta la sua canzone alla luce della luna. Melodia e testo suscitano profonde emozioni: le parole toccano temi come la passione, la nostalgia e la fine di un amore. A rendere tutto più suggestivo la luna che esce dalla nuvola sullo splendido scenario del Golfo di Napoli: “
Te voglio bene assaje / Ma tanto tanto bene sai / È una catena ormai / Che scioglie il sangue dint' 'e 'vvene”.
Napul’è – Pino Daniele
Il vero e proprio inno di un napoletano a Napoli è
Napul’è opera del
1977 del cantautore Pino Daniele (1955 – 2015)
divenuta immortale. Colonna sonora o inno a seconda delle occasioni il brano mette in luce le bellezze ma anche le negatività che possono caratterizzare il capoluogo della Campania. “Napule è mille culture (Napule è mille paure) /
Napule è nu sole amaro (Napule è addore e' mare) / Napule è na' carta sporca (E nisciuno se ne importa)”.
Milano
Il Duomo di Milano su cui svetta la Madunina
Il ragazzo della via Gluck, Milano – Celentano
In questo caso non solo c’è il nome della città ma
anche l’indirizzo: via Gluck. Questo pezzo evergreen, anche se in via Gluck appunto di verde non è rimasto nulla, portato al successo da
Celentano nel 1966, parla con una forte nota nostalgica dell’espansione urbanistica della metropoli che in pochi decenni ha inglobato anche le strade più periferiche, prima circondate da campi dove i bambini giocavano. “Là dove c'era l'erba ora c'è una città / E quella casa in mezzo al verde ormai dove sarà / Non so, perché continuano a costruire, le case / E non lasciano l'erba, Non lasciano l'erba / Eh no Se andiamo avanti così, chissà come si farà”. Un tema, quello ecologico, ripreso da Celentano nel 1972 con “un albero di 30 piani”: “Belli come noi, Ben pochi sai Ce n'erano / E dicevano Quelli vengono dalla campagna /Ma ridevano Si spanciavano, Già sapevano / Che saremmo ben presto anche noi diventati Come loro / Tutti grigi Come glieli con la faccia di cera”.
Innamorati a Milano di Memo Remigi
Tra i classici melodici c’è
“Innamorati a Milano” di Memo Remigi, cantante, compositore, conduttore radiofonico e televisivo. Non è proprio un inno alla città: in sostanza il brano afferma che è possibile innamorarsi anche a Milano, anche se si tratta di un luogo dove non c’è niente, solo tanta gente. Quando uscì nel
1974 divenne comunque presto un classico. E probabilmente la casa è dov'è il cuore: va bene anche Milano. “Sapessi com'è strano
Sentirsi innamorati A Milano / Senza fiori, senza verde, Senza cielo, senza niente / Fra la gente, tanta gente / Sapessi com'è strano /Darsi appuntamenti A Milano /In un grande magazzino / In piazza o in galleria / Che pazzia”
Oh mia bella Maddonina, Milano - Giovanni D'Anzi
Il vero inno del capoluogo lombardo, proprio in
dialetto milanese, è il brano
“O mia bela Madunina” (O mia bella Madonnina) canzone non priva di ironia composta nel
1934 da Giovanni D’Anzi e dedicata alla statua d’oro dedicata alla Madonna che trionfa sul
Duomo di Milano. Lo scopo è proprio quello di creare una canzone dedicata a Milano a dispetto di quelle già celebri di altri luoghi e mentre la migrazione dal sud al nord è entrata nel vivo: “O mia bela Madunina che te brilet de luntan /tüta d’ora e piscinina, ti te dominet Milan / sota a ti se viv la vita, se sta mai coi man in man. Canten tüt ‟
lontan de Napule se moeur” /ma po’ i vegnen chì a Milan”.
Roma
Veduta di Roma col Tevere e Castel Sant'Angelo
Roma Capoccia – Antonello Venditti
Se Roma ai tempi degli antichi romani era ‘
Caput moundi’, ossia guidava l’intero mondo allora conosciuto, il cantautore
Antonello Venditti scrive nel 1972 con Lionello Alberti e interpreta ‘
Roma Capoccia’, termine dialettale che appunto sta per capo, in questo caso,
“der mondo infame”. Venditti dipinge un ritratto vivido e suggestivo della vita notturna romana, citando luoghi iconici come Trastevere e Piazza di Spagna: “Quanto sei bella Roma quand'è sera / Quando la luna se specchia dentro ar fontanone” e ancora “Vedo la maestà
der Colosseo / Vedo la santità der cupolone / E so' più vivo e so' più bbono / No nun te lasso mai Roma capoccia der mondo infame”.
Grazie Roma – Antonello Venditti
Nel
1983 Venditti incide un nuovo atto d’amore nei confronti della città:
“Grazie Roma”, che diviene innod< ei tifosi della squadra di calcio della Città eterna. “Dimmi chi è / Che me fa sentì 'mportante anche se nun conto niente /
Che me fa re quando sento le campane la domenica mattina” , “Grazie Roma Che ci fai piangere abbracciati ancora / Grazie Roma Che ci fai vivere e sentire ancora / Una persona nuova”.
Porta Portese, Roma – Claudio Baglioni
Un classico di Roma è anche
Porta Portese, incisa da
Claudio Baglioni nel 1972. Tornato dal militare, il giovane protagonista della canzone si reca al caratteristico
mercatino delle pulci, con la rivendita dell’usato, a Porta Portese per cercare un paio di jeans da indossare al posto della divisa ma vede la sua amata a braccetto con un altro. La canzone ben descrive, soprattutto, il caratteristico mercatino dell’usato di Roma, con tante di 'patacche'.
Italia
Francesco De Gregori - "Viva l'Italia".
Da ultimo non poteva che esserci il riferimento a
Viva l’Italia, brano del 1979 del cantautore
Francesco De Gregori che esplora il tema dell'identità nazionale. “Viva l'Italia,
l'Italia che è in mezzo al mare /L'Italia dimenticata e l'Italia da dimenticare / L'Italia metà giardino e metà galera / Viva l'Italia,
l'Italia tutta intera”.