A Palazzo Bonaparte fino al 2 giugno una monografica dedicata al pittore norvegese, autore dell’Urlo. Oltre 100 capolavori prestati dal museo di Oslo
Dopo oltre 20 anni l’arte di Edvard Munch è tornata a Roma.La mostra dal titolo “Munch – il grido interiore”,...

Dopo oltre 20 anni l’arte di Edvard Munch è tornata a Roma.La mostra dal titolo “Munch – il grido interiore”,...
Dopo oltre 20 anni l’arte di Edvard Munch è tornata a Roma. La mostra dal titolo “Munch – il grido interiore”, che raccoglie cento opere, è in corso a Palazzo Bonaparte, fino al 2 giugno. Per gli organizzatori è stato un vero traguardo riportare il precursore dell’espressionismo nella Capitale perché la quasi totalità delle sue opere è custodita al Munch Museum di Oslo che, in via del tutto eccezionale, ha acconsentito a un prestito senza precedenti. Il titolo della mostra ricorda subito la peculiarità dei dipinti del genio scandinavo, ovvero la straordinaria capacità di esprimere inquietudini e angosce universali, attraverso l’uso di colori espressivi, a tratti violenti. “Il grido interiore” che cos’è se non l’urgenza di contenere l’incontenibile, “l’abisso interiore” di cui parlò Nietzsche pochi anni dopo.
Nell’Urlo, il suo più famoso quadro, per esempio, Munch rappresenta una crisi d’ansia. È il sintomo dell’epoca complessa e contrastante in cui visse, segnata dal positivismo e dalla seconda rivoluzione industriale. La macchina stava gradualmente prevalendo sull’uomo, e l’efficienza sembrava minare la capacità di sentire e di essere. L’individuo perde il contatto con il proprio sé e si percepisce come spaventante. Alla mostra questo lo si coglie nell’autentica litografia dell’Urlo, risalente al 1985. O ancora in Disperazione (1894), dove un uomo solitario e pensieroso cammina su un ponte, intriso di una tristezza che riflette la solitudine esistenziale. La composizione e i colori ricordano quelli dell’Urlo, ed è lo stesso Munch a definirle "immagini parallele". Alla mostra sarà possibile ammirare anche Notte Stellata, un’opera che emana una dolce malinconia. Il paesaggio, morbido e addolcito, esprime uno stato di serenità del pittore, o quantomeno una tregua momentanea dall’angoscia.
La tristezza che pervade i quadri di Munch è profondamente legata anche agli eventi tragici che segnarono la sua vita. A partire dalla morte della madre per tubercolosi nel 1868, quando Munch aveva appena cinque anni. Questo evento ebbe un impatto devastante anche sul padre, che dopo il lutto divenne vittima di pesanti crisi depressive. Poi, la morte prematura dell’amata sorella, Sophie, anche lei malata di tubercolosi. Alla mostra la si vede nel celebre quadro Morte nella stanza della malata. Sophie è seduta su una sedia, probabilmente per facilitare la respirazione, e dà le spalle all’osservatore. Di lei si può scorgere solo il braccio sinistro abbandonato in grembo. Ma c’è anche Edvard, è l’uomo anziano che guarda verso la sedia. La mostra ci offre l’occasione di conoscere il lato più intimo di Munch, facendoci entrare a piedi pari nei suoi drammi esistenziali, per comprendere anche i nostri. Come disse l’artista stesso: "Attraverso la mia arte ho cercato di spiegare la mia vita e il suo significato, aiutando gli altri a chiarire le loro vite".