Vendemmie d’artista, esposizioni, etichette d’autore: il mecenate 2.0 è un vigneron

di PAOLO PELLEGRINI
3 marzo 2022

Vendemmia d'Artista 2008 L'Energia - opera di Rebecca Horn - Barricaia

Veste i panni del vigneron, il mecenate 2.0. E porta spesso un nome importante. Accade soprattutto (ma per fortuna non soltanto) in Toscana, terra che nel mecenatismo Grandi Firme ha visto nascere i suoi capolavori più amati. Accadeva durante il Rinascimento, accade tra il XX e il XXI secolo: sono le cantine il motore per la produzione e lo scrigno per raccogliere e dare impulso all’arte, con il linguaggio del contemporaneo. Allora c’era chi affidava committenze a nomi tipo Brunelleschi, Donatello o Artemisia Gentileschi, come i Frescobaldi, o si faceva scolpire lo stemma di famiglia – gli Antinori – da un certo Andrea della Robbia. Nomi che ritroviamo nel mecenatismo moderno. E non sono i soli. E magari con un raggio d’azione che valica gli oceani. E’ il caso dei Frescobaldi. Perché la tenuta Ornellaia, a Bolgheri, con il Guggenheim di New York ha messo in piedi un progetto che parte dal vino, investe l’arte e profuma di solidarietà. Tutto  nasce con Vendemmia d’Artista, che lega le annate di uno dei fine wines più stimati e gettonati a una nuova forma di mecenatismo: legare un’opera all’espressività di un’annata con il disegno dell’etichetta e con un’installazione site specifica. Ecco allora l’Esuberanza di Ontani in forma di maschere-gargoile sulle colonne dell’ingresso, o l’Energia che Rebecca Horne vede come viluppo di luci in barricaia, fino al Vigore (per il 2019), il senso della fertilità targato Djurberg & Berg: 14 etichette inserite in aste Sotheby’s con devoluzioni benefiche verso fondazioni d’arte di tutto il mondo a cui hanno portato oltre 2 milioni di dollari, e dal 2019 vanno al progetto Mind’s Eye, L’Occhio della Mente – ecco il coté solidale – della Fondazione Guggenheim che aiuta i non vedenti o ipovedenti a sperimentare l’arte con l’utilizzo di tutti i sensi. Ma c’è anche un Premio Artisti per Frescobaldi, a cadenza biennale, con ‘casa’ alla tenuta di Castelgiocondo, in territorio di Brunello di Montalcino. Rivolto a giovani artisti per la creazione di opere che raccontino la tenuta – con premi dai 10mila ai 20mila euro – e di etichette per il Brunello Riserva Annata Dedicata, in edizione limitata a 999 copie, da mettere in vendita per finanziare altri progetti legati alla formazione. Ne è nata anche una collezione permanente, che negli splendidi spazi della tenuta espone le opere dei primi 15 artisti selezionati, mentre intanto Tiziana Frescobaldi, in tandem con il curatore Ludovico Pratesi e con le gallerie d’arte, continua la ‘caccia’ agli artisti. Splendidi spazi, già. Come la struttura della nuova Cantina del Chianti Classico che Antinori ha inaugurato nel 2012 scavando a Bargino, in Val di Pesa, e diventata anche area museale, per l’Antinori Art Project: tra le sale di ingresso, la vinsantaia, le scale, le barricaie si ammirano durante la visita opere di Stefano Arienti, Yona Friedman, Giorgio Androtta Calò, Tomàs Saraceno e altri contemporanei. Sicuramente, però, il primato per la creazione di un mega-museo legato al vino e all’arte contemporanea spetta al Castello di Ama, sulle colline tra Gaiole e Radda in Chianti. Dove dal 1999 Lorenza Sebasti e Marco Pallanti hanno raccolto – prima con la Galleria Continua e poi affidando la cura a Philip Larrat-Smith – e installato ogni anno opere (in tutto sono 16) di grandi contemporanei che segnano tutti i luoghi del borgo. Opere di viva suggestione, dall’Albero di Pistoletto all’Aima di Anish Kapoor, dai quadri-finestre-specchi di Daniel Buren ai ‘doodles’ di Nedko Solakov, passando per Chen Zhen, Thayou, Bourgeois, Iglesias, Ufan e altri: un microcosmo di bellezza che non lascia indifferenti. Come non lascia indifferenti il Giardino delle Sculture che Peter Femfert e la moglie Stefania Canali hanno creato alla Fattoria Nittardi di Castellina in Chianti, passato glorioso per essere stata nel 1549 proprietà di Michelangelo Buonarroti (ci faceva il vino che regalava a papi e signori) e presente di successo, grazie ai vini di cui si occupa il figlio Léon, e appunto alla collezione di opere d’arte. Le sculture: 15 leoni di varie fosse (è il simbolo della fattoria), e installazioni di artisti come Mitoraj, Victor Roman, Dietrich Klinge, Giuliano Ghelli e altri. Ma non solo: da quarant’anni, dal 1981, Nittardi fa disegnare – secondo un’idea sviluppata con Bruno Bruni – a un famoso artista anche l’etichetta e la carta-seta per avvolgere la bottiglia di un suo nettare: tra le firme si contano Paladino, Yoko Ono, Dario Fo, Theodorakis, Arroyo, Günther Grass, ancora Ghelli e Mitoraj, Alechinsky, Hsiao Chin, Ungerer e altri. Alla scultura in vigna si è appassionato anche Philippe Austruy, proprietario dell’azienda Casenuove a Panzano in Chianti: ecco ‘Le radici dell’Arte’, collezione di installazioni dalle sculture-totem di Thayou ai Waterbones di Loris Cecchini ai finti ‘attori’ con la testa di pietra di Sun Yan e Peng Yu vestiti da Ferragamo. E proprio con Ferragamo si conclude questo breve viaggio tra Vino & Arte: perché proprio così si chiama la galleria che sopra le cantine della tenuta Il Borro, in Valdarno, ospita la collezione privata di Ferruccio Ferragamo, incisioni e litografie legate al mondo del vino con firme che vanno da Mantegna a Warhol attraverso Dürer, Parmigianino, Rembandt, Tiepolo, Canaletto e poi Fattori, Chagall Picasso. Ah Bacco, che dio dell’ispirazione