L’executive chef del ‘Campo del Drago’ di Montalcino punta sui sapori più autentici dell’orto e del bosco per valorizzare anche i piatti a base di pesce: "Natale in famiglia con tortellini, cappone e gobbi fritti"
Tortellini in brodo, cappone con i ’gobbi’ (i cardi) fritti e panettone. Semplicità a due stelle Michelin: è il Natale...
Tortellini in brodo, cappone con i ’gobbi’ (i cardi) fritti e panettone. Semplicità a due stelle Michelin: è il Natale classico di Matteo Temperini, 50 anni, executive chef del ristorante Campo del Drago al luxury resort Rosewood Castiglion del Bosco, luogo da favola nelle campagne di Montalcino, uno dei soli due locali italiani premiati con il raddoppio del ’macaron. Legato alla terra, all’orto e al bosco, Matteo, ma capace di solleticare i palati con ingredienti semplici che le sue mani fanno diventare leccornie.
Matteo Temperini, primo Natale a due stelle. Sensazioni?
"Contentissimi, io e tutta l’équipe. Ho iniziato a 16 anni, vedevo gli chef pluristellati, era un sogno... e quando ci arrivi sei incredulo. Pensavo al massimo a una stella verde, perché qui si lavora tutto dal nostro orto. Comunque penso sia meritato, si lavora duro, si sacrifica la famiglia. Una bella spinta per andare avanti".
Lei non è uno dei tanti ragazzini rampanti: l’esperienza è fondamentale?
"Bel regalo, per i miei 50 anni. Sì, io vengo da cucine con chef stellati grandi, anche grazie a loro ho raggiunto questo livello ed è importante perché frequenti gente brava e organizzata. Poi ci vogliono i prodotti migliori ma per fortuna qui intorno funziona tutto: il pesciaiolo, il macellaio, i vecchi mestieri...".
Le sue radici di cuoco?
"Sono nato a Poggibonsi, sono toscanissimo, ho studiato alla scuola alberghiera italiana ma su testi francesi, e anche la terminologia è francese... radici italiane e francesi. Cambiano i prodotti e cambiano le tecniche: noi siamo più semplici, l’italiano se non ha prodotti buoni non cucina, il francese è più complicato".
E dove ha imparato di più?
"In Francia il livello tecnico è più alto. Poi tutta l’esperienza è sempre positiva, anche nel peggior ristorante impari sempre qualcosa".
Lei non è uomo di ribalta: policy aziendale o stile personale?
"È il mio carattere. Io faccio il cuoco, non il personaggio pubblico. Lavoro, poi torno a casa. Oggi si va in tv, tutti star e personaggi, ma alla fine della fiera sono sempre cuochi, non chirurghi che operano a cuore aperto. Le persone devono essere sempre umili, ho conosciuto grandi chef al lavoro in scarpe da tennis".
Con tante esperienze stellate così diverse, qual è la sua sintesi in cucina?
"La mia sintesi è classica. Quello che dura nel tempo. Armani costa caro ma tra vent’anni sarà sempre bello, un leopardato invece... Il classico va sempre bene, certo con tocchi moderni, e con i prodotti dell’orto. Come nella musica: tutti gli orchestrali sanno suonare gli strumenti, poi c’è chi fa la classica e chi il rock".
Al tempo: si fa presto a dire classica.
"Beh, con la libertà delle cotture, delle guarnizioni, delle salse: è una prerogativa che si impara bene in Italia, è la base, alla cucina buona si aggiunge una salsa, è un buon complemento. Io punto sulle salse giuste, mi aiutano le verdure dell’orto, ottime radici che si lavorano con le centrifughe per fare salse che sanno di verdura".
La sua cucina omaggia le tradizioni di caccia della Valdelsa e Val d’Orcia?
"Certo, io ho anche il bosco davanti. Facciamo tre menu, uno vegetariano che ci vuole, ma cuciniamo anche lepri e colombacci. Il bosco è una presenza obbligata, sui sottopiatti sono raffigurate scene di caccia: le persone vanno abituate, del resto chi prima non amava le interiora adesso che abbiamo due stelle le mangia e fa anche i complimenti. E si comincia a divertirsi, a me le interiora, le trippe, le animelle piacciono moltissimo".
Che cosa le evoca il Natale?
"La tradizione, la stessa cosa tutti gli anni: Tortellini in brodo, cappone e “gobbi” fritti e ripassati nel pomodoro, e poi il panettone classico. La famiglia, con i due bambini di 8 e 2 anni".
E per i suoi clienti? La tentazione del panettone?
"Per il pranzo di Natale il ristorante gourmet è chiuso, prepariamo comunque un bel brunch che fino alle 11 è colazione, poi ci saranno pollo e primi e altre pietanze. Il panettone, certo che lo facciamo: ci lavora il pastry chef Michael Boivin, ci siano conosciuti a Le Sirenuse a Positano, è molto bravo e dotato per le cose naturali, fa dessert con i prodotti dell’orto. Lo stesso stile mio, cose vere fatte in casa ma con una raffinata mano francese".
Il resto della brigata?
"Sono i miei occhi e le mie mani, mi fido anche quando li lascio, a cominciare dallo chef di cucina Daniele Bianco che è con noi da tre anni, è giovane ma in gamba, ha idee. Ed è grazie a tutti che abbiamo raggiunto questo risultato".
Ma il fine dining è davvero in crisi?
"Lo dicono, ma se parlo per la mia esperienza no. Si lavora, è vero che questo è un cinque stelle lusso solo per una certa clientela, e non tutti possono permettersi i 150 euro a testa. Ma io dico: invece che dieci volte in pizzeria, state a casa e godetevi una serata in un bel ristorante".