Erika Gotta racconta il suo Piemonte nel piatto. Tradizione e ricerca anche per queste Festività
Il contesto aiuta? Certo che sì. Aiuta anche l’anagrafe quando s’incasella nella categoria ’very young’, perché avere 30 anni è...
Il contesto aiuta? Certo che sì. Aiuta anche l’anagrafe quando s’incasella nella categoria ’very young’, perché avere 30 anni è un’invidiabile fortuna. E lo sa di sicuro Erika Gotta, piemontese delle Langhe, salita agli 800 metri sul livello sul mare di Oretto, minuscola frazione di Campiglia Cervo, nell’Alto Biellese, a firmare la cucina e la filosofia gourmet della country house ’La Bursch’, incantevole albergo che si presenta come un borgo rigenerato, in qualche modo anche ascetico e mistico, dove dedicarsi alla contemplazione, alla decompressione e alla mindfulness.
Trasferimento sofferto? Tutt’altro. Anzi, salutato come provvidenziale da questa chef che nel 2021, dopo una lunga parentesi lavorativa in Svizzera, stava vivendo un momento di stanca motivazionale. E deve esserle sembrato un regalo sentirsi invitata a mettersi in gioco in una location così immersiva da Barbara Varese, la padrona di casa, capace coltivare in modo impagabile l’arte dell’ospitalità e di tradure nei fatti il significato etimologico del termine ’Bursch’ che nella lingua Walser significa casa, tana, rifugio.
Del resto, è risaputo: certi incontri ti cambiano la vita. Tant’è che la giovane nativa di Cherasco (Cuneo) è ormai diventata parte della Valle del Cervo. Rivelando una solarità perfino strana in una donna cresciuta in Piemonte, terra schiva e di poche parole, dove la riservatezza è ancora un valore e l’understatement è una virtù distintiva perché aiuta a selezionare le cose e le persone che contano.
Carattere che non mancherà di esibire durante il periodo del Natale, firmando menù con alcuni classici delle Festività particolarmente ispirativi (di sicuro i bottoni di cappone el brodo, il filetto alla Wellington con i funghi e il lievitato con zabaione) per poi concedersi uno strameritato break vacanziero a inizio gennaio. Chi la conosce, lo conferma: il merito è di questa contrada alpina, chiusa e non ancora saccheggiata dal turismo ’mordi e fuggi’, protetta com’è dalle possenti montagne che fanno da corona e congiunzione tra Biellese, Valle d’Aosta e Svizzera.
E basta vederla all’opera tra il ristorante ’La Bursch’ e l’adiacente bistrot ’ST,orto’ per rendersene conto. Erika che racconta della sua cucina, facile da capire ma mai dozzinale, dove i sapori vengono esaltati giocando sugli abbinamenti, sulle consistenze e sulle scomposizioni. Erika che si sporca le mani andando a raccogliere nell’orto la pimpinella, la ruta, il nasturzio e l’erba lepre. Ed Erika che si rivela un’ottima affabulatrice quando presenta i piatti che le sono più cari; che galleggiano tra la tradizione piemontese e quella vegetale; e che lei sigla con la competenza degna di una delle under 35 più promettenti d’Italia.
Come il ’Cacio e pepe’ utilizzato come base per poi aggiungere dell’olio all’abete rosso e del crumble al pino e poi trasformarlo nel suo gettonatissimo ’Cacio e pino’. Come il risotto al burro affumicato al fieno con ragù di coniglio e vermouth. O come il latte di cardo con castagna, fondo di topinambur, olio al basilico e albicocca.
Finendo per ammettere una cupidigia istintiva per il ’Dabun’, gelato alla frolla piemontese con mandorle, olive taggiasche e meringa. O per il proletario ’Ris e Lait’ che poi proletario non è: riso cotto al latte con vaniglia, caramello salato e gelato al fieno. Un dolce che si sposa perfettamente con i mesi invernali e con i giorni delle Festività natalizie.
Certo, fuori dalla Bursch le distrazioni mondane non abbondano. Ma Erika ha i suoi antidoti: l’amicizia con il team che lavora con lei, composto da giovanissimi molto motivati. E nelle giornate libere, niente di meglio che inforcare la bicicletta e pedalare in un territorio montano.
Saggia, chef Erika ha comunque pronta la battuta: "Dopo ogni salita – afferma la giovane cuoca – c’è pur sempre una discesa". E ad ascoltarla, s’intuisce la genetica mentale di questa langarola prestata al mondo alpino: la vita, è vero, è una sliding door, una porta girevole. Ma quella che ti fa sentire felice deve restare sempre aperta.