Paolo Griffa, la Valle nel piatto con classe
La gratitudine è istintiva e lui pensa a mamma Daniela che l’aveva incoraggiato quando, giovanissimo, tentennava sugli studi da intraprendere: “La tua passione è la cucina? Allora cerca di diventare cuoco”. E ha un’attrazione fatale per il foraging, la raccolta di erbe spontanee e fiori, pratica ecologica en plein air forse già sperimentato nella provincia torinese dove era nato e cresciuto ma che per Paolo Griffa è diventata abituale anche da chef executive dello stellato Petit Royal, nell’elegante Hotel Royal e Golf di Courmayeur. Predestinato? Di sicuro. E tosto. Come il Monte Bianco che giganteggia di fronte al ristorante dove crea le sue meraviglie, spesso dopo avere scarpinato per ore tra prati e foreste della Val Veny e della Val Ferret, perché niente è più eccitante ed etico che raccogliere la balsamica Imperatoria, il sorprendente Levistico e il freschissimo Laserpizio esattamente dove crescono. E poco male se questo trentenne osannato dai critici gastronomici trascina con sé tutti i suoi collaboratori di sala e cucina e perfino gli studenti e lo staff dell’Institut Agricole Régional di Aosta e della Fondazione Sistema Ollignan Onlus. È per una buona causa: celebrare i sapori di una regione alpina che nell’alta ristorazione è meno considerata di quanto meriterebbe. E a rivelarlo, ci sono i suoi piatti ma anche le sue parole: “Perché mai un milanese o un torinese dovrebbe arrivare fino a Courmayeur, in via Roma, per mangiare le identiche cose che può ordinare a Brera o a Porta Nuova? Se viene qui, devo fargli assaggiare prodotti e piatti che trova unicamente in Valle”, spiega, esibendo un pragmatismo cartesiano che lui riesce a conciliare con il gusto quasi maniacale per l’estetica e con l’empatia istintiva delle persone curiose, attente a tutto quello che le circonda.[qode_simple_quote text_title_tag="h3" author_title_tag="h3" simple_quote_text="«Sono un ambizioso, punto sempre in alto perché nella vita è immorale accontentarsi»"]Racconta della sua cucina estiva, fortemente vegetale, e di quella invernale, inevitabilmente più austera e proteica. Si dice entusiasta di salse e brodi d’ispirazione francese, seppure in versioni più light. S’indigna quando sente di gente che spreca il cibo, per ignavia o pigrizia. E lievita quando parla delle pietanze più iconiche ed estrose che transitano per il ristorante etoilé Petit Royal, spesso dedicate a grandi artisti di ieri e di oggi come Chagall e Bansky. C’è il Menù Declinazioni, sublimazione dell’alta cucina ludica, sliding door di 40 piatti diversi tra loro ma accomunati dalla scelta ristretta di ingredienti, con i commensali beatamente invitati ad affidarsi alla verve dello chef. C’è la “Favò”, zuppa povera della Valle d’Aosta a base di fave che lui ha contribuito a certificare. E c’è lo scenografico “Risi e bisi Blu”, carnaroli cotto in brodo di fiori di piselli e olmaria. Alla fine, Paolo Griffa si lascia scoprire per quello che è: un cuoco esigente e preparatissimo, che all’occorrenza - il morso di fame - affonda i denti in un panino con cioccolato come faceva da bambino; e lo chef stellare che non ha l’ego debordante di tanti suoi colleghi ma ammette: “Sono ambizioso: punto sempre in alto, perché nella vita trovo immorale accontentarsi”. Come dire – aggiungiamo noi – che nei suoi pensieri entra, eccome, l’idea che un giorno, la Michelin possa assegnargli anche la seconda stella. Intanto, gli arriva la domanda insidiosa: “Dove si vede tra qualche anno?”. E lui se la cava benissimo, con l’aria sincera di chi, torinese, prova affetto per la Valle d’Aosta che l’ha adottato: “Al Grand Hotel Royal e Golf sto benissimo. Firmo la cucina di un ristorante che sembra fatto a mia misura. E Courmayeur mi ha dato tanto. Perché dovrei andarmene?”. Appunto.