Niko Romito, genuina bellezza nel piatto
Autenticità e identità: sono i cardini della cucina italiana e, al tempo stesso, della filosofia di Niko Romito. Abruzzese, 47 anni, cuoco autodidatta, è ambasciatore della tavola tricolore in terra emiratina. Romito, che dal 2000 gestisce insieme alla sorella Cristiana il ristorante Reale con cui in soli sette anni ha conquistato 3 stelle Michelin, è pronto al palcoscenico mondiale dell’Expo 2020 Dubai. Al Padiglione Italia Niko Romito vuol dire l’eccellenza italiana della cucina. Quale approccio avere in circostanze come queste? Su cosa puntare? “Bisogna guardare su autenticità e identità della cucina italiana, perché il suo grande valore aggiunto è il bagaglio culturale delle nostre tradizioni gastronomiche: sfaccettato, variegato e quasi infinito. Una storia centenaria che ha segnato non solo la cucina mondiale, ma anche il suo immaginario, fatta di grandi classici, ma anche di semplicità e strettamente legata alla convivialità. È una cultura importantissima, che fa parte del nostro DNA, che ci permette di lavorare ed evolvere ingredienti e materie prime uniche, che abbiamo il dovere di codificare e trasformare in cucina contemporanea”. Anche se i nostri sapori hanno origini domestiche… “Assolutamente. La tradizione della cucina italiana nasce nelle case. Ma oggi il grande neo della cucina italiana è che non è un sistema, i dogmi sono appannaggio degli chef che fanno la propria. Non c’è un manifesto come nella cucina nordica, francese o spagnola. La cucina italiana all’estero si esprime in piatti che non ci rappresentano più, perciò il progetto Bvlgari (che è unico nel suo genere), è volto proprio alla diffusione nel mondo della cucina italiana di oggi, riletta con la mia visione contemporanea”. Gli Emirati Arabi rappresentano un importante snodo economico per il Made in Italy. Anche il settore food non dovrebbe fare eccezione. Cosa si aspettano i cittadini di questi luoghi dalla cucina italiana? Solo gusto o anche dei messaggi culturali? “Difendere e promuovere la cultura italiana del cibo è un dovere, che parte innanzitutto dal considerarlo come un bene culturale a tutti gli effetti e come tale interessante per tutti quelli che italiani non sono, oltre che per noi stessi. Dovremmo iniziare a cogliere la varietà delle nostre produzioni, sia agricole sia culinarie ovvero il meglio del nostro Made in Italy. Si tratta di un passaggio indispensabile per creare un’immagine della cucina italiana nel mondo coerente con la realtà del Bel Paese. La cucina italiana ha un grandissimo potere evocativo: è stupefacente come un solo boccone, un singolo sorso di vino siano in grado di evocare, in pochi secondi, territori, produttori, secoli di storia e di attitudine al gusto e alla bellezza. Credo che solo il cibo e il vino abbiano questo potere, e riescono a farlo parlando un linguaggio universale, comprensibile a tutti”. Quindi a queste latitudini vi è terreno fertile per far conoscere le nostre eccellenze. “Gli Emirati Arabi Uniti sono un paese in cui convivono svariate culture ed etnie e la ristorazione è un tema centrale ed è percepita con molta importanza tra le varie comunità. Qui tantissimi sono ristoranti di altissima qualità, spesso situati all’interno di hotel 5 stelle. La ristorazione si è dunque evoluta nel tempo e pian piano va ricercando qualità e consistenza poiché il cliente cerca sempre di più autenticità, semplicità e grandi prodotti”. Un ristorante stellato dentro il Padiglione Italia a fianco di Bvlgari, ma il format emiratino racconta la sua idea di bar all’italiana e di cucina informale. Si sente un po’ ambasciatore della nostra cucina a livello globale? “Il Ristorante Niko Romito, fiore all’occhiello dei Bvlgari Hotels a Pechino, Shanghai, Milano e Dubai, rappresenta la finestra sull’eccellenza dei grandi classici della tradizione gastronomica italiana reinterpretata da me in chiave contemporanea, perseguendo eleganza e leggerezza nella preparazione e nella presentazione dei piatti. Il menù racconta il percorso gastronomico, di ricerca e di pensiero, che ho intrapreso insieme al team di chef oggi a capo delle cucine dei ristoranti Niko Romito dei Bvlgari Hotels nel mondo, attraverso i piatti che hanno scritto l’antologia di questo grande progetto”. E poi c’è Spazio Niko Romito Bar e Cucina… “Questo è il compendio delle mie esperienze, dei prodotti simbolo della mia ricerca gastronomica, che si traduce in un modello informale di accoglienza che da sempre fa parte della nostra tradizione e in cui tutti ci riconosciamo. Un’ampia offerta che parte dalla prima colazione che si concentra su prodotti e abitudini tipicamente italiani, una cucina che rielabora le ricette della convivialità casalinga realizzando piatti precisi, moderni e leggeri. Non mancano i prodotti più noti e popolari del mio percorso, come le fette di pane condite, la ‘bomba’ nelle sue versioni dolci e salate, i prodotti del mio laboratorio come il ‘pandolce’, i nettari e le confetture biologiche e c’è anche una vetrina con le torte classiche della pasticceria italiana. Mi onora rappresentare il nostro Paese a Expo, manifestazione che, di fatto, è il contenitore delle eccellenze di ogni luogo del mondo e mi emoziona pensare che ‘Spazio’ ha aperto a Milano proprio durante Expo 2015”. Nel 2025 un nuovo ristorante al Bvlgari Hotel and Resort di Los Angeles: un binomio quello tra Bvlgari e Niko Romito che si cimenta sempre più. “La cucina italiana che racconto al Ristorante Niko Romito è stata e sarà il mezzo di una reciproca conoscenza, perché ciò che accomuna me e gli ospiti dei Bvlgari Hotels è il grande amore per l’Italia. Bvlgari ha creduto nella forza del mio gruppo e nella sua profonda italianità. Così abbiamo elaborato un format inedito, un vero e proprio ‘Codice della cucina italiana’ che parte da ricette tradizionali e ne offre un’interpretazione moderna ed essenziale. La cucina italiana si fonda su un insieme di piatti, tecniche, prodotti e tradizioni confluiti in un immaginario dal tono semplice, bello e autentico. Il gusto italiano contempla anche la bellezza e l’estetica del piatto, ma l’unica decorazione ammessa è la materia prima. Il mio culto della semplicità passa anche da questo: voglio che i miei ospiti possano concentrarsi sulla delicata bellezza naturale di una materia prima, che sia il colore di un ortaggio di stagione o la fantasia di un formato di pasta”. La sua cucina parla al territorio e ai sapori che la accompagnano ormai da vent’anni. Quanto è stata importante per la sua crescita l’esperienza maturata nella pasticceria di famiglia? Quanto c’è delle sue origini in quello che porta in tavola? “Aver vissuto e iniziato la mia attività a Rivisondoli (poi trasferita a Castel di Sangro) ha significato per me lavorare in totale isolamento per un lungo periodo. Questo da una parte è stato uno svantaggio, perché il mio lavoro ha impiegato molto tempo per essere conosciuto e apprezzato fuori, dall’altra è stato invece un vantaggio perché mi ha permesso di sviluppare un mio linguaggio culinario lontano da influenze esterne e con una forte identità; una mia filosofia di cucina completamente originale eppure legata al territorio, che è stata la mia prima fonte di ispirazione. Questo per me non ha significato chiudermi in Abruzzo o ispirare la mia cucina solo alla tradizione locale. La mia è stata (ed è tuttora) un’idea di consapevolezza, senza la quale non si può pensare di andare altrove anche se ci sono alcuni piatti della tradizione come le Costine di agnello alla brace, o l’Assoluto di cipolle, parmigiano e zafferano tostato che sono in carta al Reale da anni e rappresentano appieno il carattere ‘abruzzese’ della mia cucina”. Si dice spesso che la grande qualità degli chef sia quello di far esaltare gli ingredienti al massimo. Basta solo questo a trasmettere delle emozioni ai commensali o serve qualcosa in più? Il ‘pizzico in più’ di che cosa mette Niko Romito in un piatto? “Nel piatto cerco bontà, equilibrio e riconoscibilità: con ‘riconoscibilità’ intendo dire che i miei piatti arrivano diretti, senza bisogno di essere interpretati o raccontati. Mi interessa fare piatti puliti, leggeri, dove il gusto si stratifica e poi esplode. Per arrivare a questo linguaggio gastronomico ho fatto molta ricerca, sulle tecniche, la materia, i sapori. Concepisco il mio lavoro di cuoco come quello di un sarto che riesce a rendere impercettibili le cuciture così da non rovinare la morbidezza di una fodera, o come quello di un orologiaio che riesce a nascondere grandi complicazioni in una cassa sottilissima”. Il Padiglione Italia si trova all’interno dello spazio dedicato alla sostenibilità, concetto talvolta oggi un po’ abusato. Ma è questo un concetto chiave anche per il modo di fare cucina ai giorni nostri? “Non direi che il concetto di sostenibilità è abusato, anzi direi che sta diventando una consuetudine, un’abitudine, il denominatore comune che guida le scelte quotidiane della gente. E non potrebbe essere che così: il mondo non può più prescindere perché non ce lo possiamo più permettere. Quindi se il concetto di sostenibilità è abusato, io dico: meno male! Il tema della sostenibilità del cibo ci impone regole molto rigide perché dopo anni in cui abbiamo immaginato di poter rimandare il cambiamento ora davvero non c’è più tempo. Noi cuochi dobbiamo far mangiare bene, la nostra creatività deve rimanere personale e identitaria ma dev’essere utile, deve perseguire lo stesso obiettivo senza sacrificare la personalità del singolo. Il mio impegno è in un ricerca incessante su come le tecniche e gli insegnamenti dell’alta cucina possono essere messi in circolo in format popolari, per fare arrivare la massima qualità al maggior numero di persone. Amo realizzare piatti con materie prime che siano riconoscibili dove forma e sostanza coincidono e dove lo spazio per fronzoli non esiste perché oggi, nel 2021, i fronzoli non sono più sostenibili”.