San Miniato, nasce il Museo del tartufo: storia e segreti di cerca e cavatura
Narrata anche la storia del tartufo da 2,520 chilogrammi trovato nel 1954 e donato al presidente degli Stati Uniti Eisenhower
Un sovrano democratico e lungimirante, il Tuber Magnatum Pico (nome scientifico del tartufo bianco) che nel tempo ha saputo creare intorno a sé una corte di nobili amici, attorniandosi di profumi, di sapori e di colori eccellenti.
Come quelli delle colline sanminiatesi in provincia di Pisa, dove il tartufo ha da qualche giorno un suo Museo, grazie alla Fondazione San Miniato Promozione e ai fondi della Regione Toscana, e una fitta rete di itinerari da percorrere. Il percorso parte da San Miniato, ’capitale’ toscana del tartufo bianco, oggi anche tappa obbligata dei pellegrini lungo la Via Francigena. Poi da qui a Palaia grazioso borgo medievale, con la pieve romanica di San Martino. Lungo la strada panoramica tra oliveti e vigneti meritano una sosta i due paesi disabitati di Villa Saletta e Toiano, oppure Montefoscoli e il suo strano Tempio di Minerva Medica con i simboli massonici ed esoterici che rimandano a personaggi misteriosi e affascinanti. Poi a Peccioli, per spingersi a sud fino alle balze di Volterra.
In queste terre di origine tufacea, il pregiatissimo bianco – ma anche altri tartufi, come il bianchetto, lo scorzone e perfino il nero – trovano il loro habitat ideale. Lungo il percorso ristoranti e trattorie dove degustare il meglio della cucina e graziosi agriturismi dove soggiornare
Ma torniamo al Museo, inaugurato pochi giorni fa e oggi l’autentica novità di questo itinerario che parte, appunto, da San Miniato e dalla storia del tartufo da 2,520 chilogrammi trovato nel 1954 dal sanminiatese Arturo Gallerini e finito in dono al presidente degli Stati Uniti Eisenhower: tutt’oggi quell’esemplare è storicamente il più grande mai ritrovato. Il museo ne ripercorre la storia, ma sarà anche possibile vivere delle esperienze immersive, in quell’arte fatta di riti e segreti che è la cerca e cavatura del tartufo, da alcuni anni proclamata patrimonio Unesco. Inoltre – tramite dei dispositivi realizzati ad hoc – chi vorrà potrà conoscere i vari protagonisti della cerca e cavatura: il tartufaio, il cane (che sia un meticcio sanminiatese o un lagotto), le piante tartufigene, il vanghetto usato per scavare il terreno.
La tradizione vuole che la cerca e la cavatura del tartufo siano state introdotte dai braccianti stagionali romagnoli, che, nella seconda metà dell’Ottocento lavoravano qui. Questi, già cavatori a casa propria, riconosciuti gli ambienti tartufigeni, dopo aver verificato la generosità di boschi e valli della Valdegola, tornarono con i lagotti romagnoli, fedeli compagni ed esperti cercatori. Alcuni addirittura vi si stabilirono, diffondendo la pratica nei borghi del sanminiatese e, nei decenni successivi, nella Val di Chiecina, Val di Cecina, Valdera, Valdelsa e Val di Pesa.
San Miniato divenne, da quel momento, la terza città, dopo Alba e Acqualagna, a ospitare una mostra mercato nazionale sul tartufo bianco che si tiene a novembre. Ma, fra poche settimane, il territorio celebra anche il nero d’estate con un giorno di mostra ed eventi.