Hayez e i grandi maestri in mostra all’Accademia Carrara di Bergamo
E' quasi l’alba, Romeo e Giulietta dovranno lasciarsi. Per sempre. Lei chiude gli occhi, abbraccia il suo amato e avvicina le sue labbra a quelle di lui. E quel momento infinito, di delizia e di dolore, è come un brivido anche per noi che lo ammiriamo. Francesco Hayez dipinse questo bacio proprio due secoli fa, nel 1823, e già allora la sua tela suscitò profonda emozione: «La sua Giulietta non è certamente la Venere e non è la donna antica – scrisse Defendente Sacchi, giornalista e filosofo –. Ma è bella dell’amor suo».
Pochi anni dopo, nel 1830, a Venezia debuttarono 'I Capuleti e Montecchi’ di Vincenzo Bellini, ispirati sempre alla vicenda dei tragici amanti («Questo addio non fu l’estremo / Ci vedremo almeno in ciel») e il pubblico accolse l’opera con un successo talmente straordinario da sfiorare il fanatismo. In quella prima metà dell’Ottocento, anni di passione anche politica, l’arte e il melodramma viaggiarono di pari passo, perché – come scriveva Gogol – «l’opera lirica è davvero l’unione dei tre elementi, la pittura, la poesia e la musica». E riecheggia proprio una delle arie dell’Anna Bolena di Gaetano Donizetti, ’Tutta in voi la luce mia’, il titolo dell’affascinante mostra aperta fino al 25 febbraio all’Accademia Carrara di Bergamo. A cura di Fernando Mazzocca e Maria Cristina Rodeschini, è un grande racconto fra storia e storie, arte, eroi e letteratura: un percorso fra quaranta opere di grandi autori (fra cui appunto Francesco Hayez, Francesco Coghetti, Domenico Morelli) che hanno trovato ispirazione nelle stesse trame portate sul palcoscenico da celebri compositori. E a volte le hanno pure anticipate.
«In quegli anni, i lettori dei romanzi storici erano gli stessi che frequentavano i teatri e amavano ritrovarvi le stesse atmosfere», spiega la curatrice. «Lungo tutto il corso dell’Ottocento romantico sono state sorprendenti le interferenze fra i due linguaggi più popolari, la pittura di storia e il melodramma», aggiunge Mazzocca. Nelle sale del museo allestite scenograficamente come un teatro (c’è perfino il camerino dove la primadonna si prepara ad andare in scena), sfilano dunque i volti di eroi ed eroine che continuano a popolare l’immaginario della grande opera italiana, Otello, Maria Stuarda, il doge Marin Faliero: li guardiamo negli occhi, così come è bello trovarci a tu per tu con i grandi protagonisti di quell’epopea, compositori, scenografi, cantanti, che la voce di Drusilla Foer ci racconta in un’audioguida. Ecco Giuseppe Verdi nell’iconico ritratto di Giovanni Boldini (che finì anche sulle mille lire), ecco Matilde Juva Branca che nel suo salotto a due passi dalla Scala ospitò artisti e musicisti, ecco la cantante Giuditta Pasta e il tenore Giovanni David. E Gioachino Rossini che, nella tela di Hayez, tiene in mano uno spartito che sulla copertina reca una scritta, ’Musica dell’avvenire’. Ed è vero: l’opera è un grande patrimonio italiano. Da amare e da custodire.