Fai, cinquant’anni appassionati vissuti nella tutela delle bellezze d’Italia. Il presidente Magnifico: “Siamo stati dei visionari concreti"
Il grande traguardo della Fondazione: “Crespi e Bazzoni, folli capaci di creare qualcosa di duraturo dal nulla”. Il Fondo Ambiente Italiano alle origini aveva cinque aderenti, oggi ne ha 300mila. “Non saremo mai un’impresa turistica”
Milano, 7 febbraio 2025 – Mezzo secolo di battaglie, di sfide, per il Fai - Fondo per l’Ambiente italiano. Su beni architettonici, tesori d’arte e, ora, paesaggio. Inizialmente guardati con diffidenza, troppo visionario, forse anche eccentrico pareva a quel tempo - parliamo del 1975 - il progetto di Giulia Maria Crespi e Renato Bazzoni, condiviso con Alberto Predieri e Franco Russoli. Curare e tutelare i beni artistici e architettonici e insegnare agli italiani ad amarli, a riconoscere la bellezza di tali patrimoni.
Presidente Marco Magnifico, cinquant’anni per il Fai, che arriva in ottima forma. Come saranno i prossimi?
“Mi viene in mente il grande compositore tedesco Robert Schumann e le sue diverse anime artistiche, indicate con pseudonimi, Eusebio, rappresentava il sogno e Florestano la passione. Ecco, sono i sentimenti da sempre presenti nell’anima del Fai, il sogno di Crespi e Bazzoni, folle, di creare una fondazione partendo dal niente, e la passione che l’ha animata, grande propellente di questa fondazione, che impegna tutti noi in questo servizio civile. Credo che con il sogno e la passione di voler essere al servizio del Paese, potremo continuare per i prossimi anni, allargando la presenza in tante altre realtà italiane, soprattutto al Sud, comprendendo anche le isole. Il Sud è il grande tesoro dell’Europa, certo è tutto più difficile ma la soddisfazione è infinita, dà a noi una lezione di generosità, di passione e calore".
“La nostra missione esclusiva è l’educazione della collettività alla conoscenza del patrimonio monumentale e artistico. Siamo “condannati“ ed è una condizione bellissima gestire nuovi beni, ristrutturarli e farli amare. Ecco come immagino i prossimi 50 anni. Nei primi, abbiamo dovuto inventarci, strutturarci, quando sono arrivato al Fai eravamo in cinque, si lavorava alla giornata, io giravo con il mio proiettore, non mi perdevo nemmeno una delle serate conviviali di Rotary e Lions dove cercavo di spiegare il senso del nostro sogno. Spesso raccoglievo solo sorrisi. Oggi il Fai è una Fondazione che può contare sul supporto dei suoi dipendenti, di oltre 300mila iscritti e più di 16 mila volontari. Se perdesse, però, quella carica di sogno e di passione che ne fa un’istituzione culturale, rischierebbe di diventare un’impresa turistica - senza nulla togliere al valore delle imprese turistiche - che apre i monumenti e li gestisce”.
Domani si celebra questo traguardo “di civile servizio” al Teatro alla Scala, con delegati e volontari, per un convegno nazionale annuale ma stavolta speciale. Sulle note del Sestetto Wanderer dell’Orchestra del Teatro alla Scala, la presenza di personalità illustri del mondo della cultura, della politica, della società civile. Da Marta Cartabia a Vito Mancuso, Lella Costa...
“Inizialmente ho pensato che fosse un peccato di superbia, ritrovarsi nel tempio della lirica mondiale, ma poi ci siamo detti che è qui che è nato il Fai, da quella borghesia protestante che ha sempre ritenuto che l’attenzione verso la collettività dovesse essere una forma di cittadinanza attiva. Il Fai è nato in salotto ma nessuno più ci considera “snob“. Sì, abbiamo mantenuto un certo stile, accogliente ma sobrio, concreto. Avremo fra noi anche Antonio Ricci, di Striscia la Notizia. Ci ha aiutato moltissimo a entrare in tutte le case degli italiani, a far uscire il Fai da quella nicchia, apparentemente molto elitaria. I luoghi aperti durante le Giornate Fai di Primavera e d’Autunno sono stati visitati da 15 milioni di persone e 500 mila ragazzi hanno fatto da ciceroni. Un milione e 100mila sono stati i visitatori nel 2024 nei Beni della Fondazione. Ora abbiamo 320 mila iscritti, erano mille quando arrivai. Ora i Beni di cui ci prendiamo cura in tutta Italia sono 72 e quest’anno ne inauguriamo 5, fra questi Villa Rezzola, a Lerici, con vista sul Golfo dei Poeti”.
Mai pensato di non farcela, soprattutto dopo la morte di Giulia Maria Crespi?
“Io mai. Bazzoni e Crespi temettero di non farcela. Nel ’78 Bazzoni era depresso perché sembrava complicato. C’è stato lo zampino del “dio“ del Fai, che protegge le buone iniziative per la collettività”.
Scusi, e chi sarebbe?
“(un attimo di silenzio) Bazzoni diceva sempre così, quando facevamo cose temerarie, sconsiderate. E sa? Aveva proprio ragione. Come non attribuire, ad esempio, al dio del Fai, una coincidenza... la prima donazione che abbiamo ricevuto è stata in una località impervia e sassosa, Cala Junco a Panarea, nelle Eolie, e sa dov’è l’ultima? Nelle Eolie, dove il Fai emise il primo vagito. Ma lo svelerò alla Scala”.
Un ricordo di Giulia Maria Crespi?
“Mi ha insegnato a non avere paura delle sfide impossibili. Sono più divertenti”.
Negli ultimi anni vi siete molto concentrati sulla tutela del Paesaggio italiano, un patrimonio unico al mondo. Lei ha fortemente criticato l’emendamento della Lega, contro le Soprintendenze, poi ritirato.
“Oggi il problema non si risolve azzerando un ente intermedio come le Soprintendenze ma rafforzandole, irrobustendole con competenze e personale. Comunque, sono ottimista, il ministero dell’Ambiente ha affidato alle regioni il compito di identificare le aree idonee sulle quali si possono installare gli impianti di energia alternativa, sia fotovoltaici, sia eolici. La Regione Lombardia ci sta lavorando e il presidente mi ha assicurato che saranno i primi a redigere questo documento. La sensibilità è molto cresciuta, soprattutto nelle giovani generazioni”.
Milano in questi mesi sta vivendo una burrasca dal punto di vista urbanistico. Che pensa del Salva Milano?
“La domanda è troppo politica, non voglio entrare nel merito di inchieste e altro. So solo che da milanese di adozione, di lunga data, amo profondamente questa città nella quale continuo a stare benissimo. Pur nell’evoluzione dei tempi, Milano conserva un’anima sensibile, vigorosa, curiosa, attenta al futuro, sempre consapevole del suo passato. Non abbiamo la borghesia dei nomi altisonanti, dai Pirelli ai Crespi, e qui non mi riferisco solo a Milano, ma una media borghesia che prima non partecipava. Oggi abbiamo lasciti, testamenti da persone che hanno nomi sconosciuti. Uno spirito di servizio che non è più prerogativa di pochi, si è allargato a macchia d’olio in tutta Italia”.
Cosa, ancora oggi, la commuove, cinquant’anni dopo l’inizio di questa avventura?
“Che gli italiani scelgano per noi. Quando l’architetto Stefano Tirinzoni di Sondrio o i fratelli Collavo di Belluno hanno deciso di regalarci, a distanza di un anno l’uno dall’altro, degli alpeggi, noi non avevamo mai pensato di occuparci di vacche: io sono uno storico dell’arte. E invece uno dei “monumenti“ che inaugureremo quest’anno è l’alpeggio di Monte Fontana Secca, con la mandria di vacche Burline, detestate da Mussolini. Non sapere di quali beni ci occuperemo mi stupisce. Mi commuove sapere che ci sono italiani che affidano, a dei concittadini, un loro bene. È un atto di amore, di generosità, bellissimo”.