A Conversano una mostra dedicata ad Antonio Ligabue, il Van Gogh italiano

di GIUSEPPE DI MATTEO -
24 agosto 2023
Mostra di Antonio Ligabue a Conversano

Mostra di Antonio Ligabue a Conversano

Oltre 60 opere, molte delle quali ricordano certe frustate di colore di Van Gogh, per rendere omaggio a uno degli artisti più importanti del Novecento. Antonio Ligabue (1899-1965) è ormai entrato nell’olimpo dei grandi. E Conversano, uno dei borghi più belli del Barese, ha deciso di celebrarlo con una mostra, di scena fino al 29 ottobre al Castello Aragonese, che è anche la prima grande esposizione sul pittore di Gualtieri in Puglia. Promossa e sostenuta dal Comune di Conversano con il contributo della Regione Puglia e il patrocinio del Ministero della cultura, della Città Metropolitana di Bari, di Puglia promozione e del Teatro Pubblico Pugliese, in collaborazione con il Comune di Gualtieri e la Fondazione Museo Antonio Ligabue, l’esposizione è curata da Francesco Negri e Francesca Villanti ed è prodotta e organizzata da Arthemisia.

Le opere

Tra i capolavori esposti troneggiano la ‘Carrozza con cavalli e paesaggio svizzero’ (1956-1957), l’’Autoritratto con sciarpa rossa’ (1952-1962) e il ‘Ritratto di Marino’ (1939-1952), che fanno compagnia alle sculture in bronzo come il ‘Gufo con preda’ (1957-1958). E non mancano una sezione dedicata alla produzione grafica di Ligabue, con disegni e incisioni come ‘Iena’ (1952-1962) e ‘Cavallo con asino’ (1952-1962), e un ampio ventaglio di documenti sulla vita dell’artista, con il documentario di Raffaele Andreassi (1961) a fare da colonna sonora.

Così 'Toni al mat' conquistò la critica

Già, Ligabue. Classificato frettolosamente come pittore naïf. Ma la sua arte è qualcosa di più, assomiglia al canto su tela “di un posseduto, di un genio allo stato puro”. Parola di Anatole Jakovsky, che all’arte naïf ha dedicato un Museo a Nizza. O forse Toni al mat, come lo chiamavano in tanti, era semplicemente uno spirito libero che aveva scelto di isolarsi dagli umani per parlare con gli animali, con i quali si capiva molto di più (‘pittore di animali’ è del resto la definizione che Ligabue dà di se stesso nel 1928). Ne studiava il linguaggio, melodioso e rabbioso, poi passava all’azione, mettendo su tela il ritratto di un conflitto quasi fiabesco tra forze misteriose nel temibile palcoscenico della natura. “A guardare i suoi quadri si capisce che deve avere un diavolo in corpo e che la pittura gli serve a sputarlo”, scrisse Indro Montanelli quando, nel 1961, il caso Ligabue era ufficialmente esploso a seguito della celebre mostra apparecchiata appositamente per lui nella Galleria ‘La Barcaccia’ di Roma. L’esposizione conversanese, che riprende la ripartizione in tre periodi dell’opera di Ligabue adottata nel 1975 da Sergio Negri, uno dei maggiori esperti dell’artista di Gualtieri (1927-1939/1939-1952/1952-1962), offre nel dettaglio il percorso di un viaggio che è anche la scoperta di strumenti espressivi (il colore e la linea su tutti) che man mano si affinano. Al centro della tela ci sono sempre loro, le fiere, ma anche la suggestiva galleria di ritratti e autoritratti che arricchiscono, assieme alle sculture, l’ampio panorama artistico di quello che è stato definito il Van Gogh italiano, e che, proprio come il celebre collega olandese, credeva nel valore terapeutico della pittura, l’unico porto sicuro della sua personale inquietudine.

Un genio infelice dalla vita tormentata

Chi volesse affacciarsi sulla vita, tormentatissima, di Ligabue non ha che l’imbarazzo della scelta: memorabile il celebre sceneggiato di Salvatore Nocita ‘Ligabue’ (1977), nel quale brilla la strepitosa interpretazione di Flavio Bucci; del 2020 è invece ‘Volevo nascondermi’ di Giorgio Diritti: a vestire i panni di Ligabue è Elio Germano, degno erede di Bucci. E sono da leggere anche la biografia di Ligabue partorita dalla penna elegante di Carlo Vulpio - il libro, dal titolo ‘Il genio infelice’ (Chiarelettere, 2019), riporta in vita lo spirito nobile di un artista fragile e grandissimo - e il magnifico poemetto di Cesare Zavattini, che, scrive Raboni, “racconta di quel pittore e di quell’uomo ma anche del poeta che ne parla, e di come questo poeta sia tentato di identificarsi con quel pittore”. Vediamo: “Ligabue in un dipinto nel quale/uno stambecco attende addosso/il balzo della tigre/e il terrore istintivo/si muta in coscienza di sconfitta/egli è l’uno e l’altra”. Per chiudere in bellezza non resta che la musica di Armando Trovajoli, che nel film di Nocita è un sottofondo non meno poetico dei versi di Zavattini. Info: www.arthemisia.it