Giovanni Vernia: “Liguria nel cuore, Genova è l’equazione tra radici e amici”

Il tour dell’artista da Boccadasse a Nervi, passando per la Strada delle Gallerie. I sapori? La focaccia al formaggio di Recco

di LORELLA BOLELLI
15 marzo 2024

Giovanni Vernia

Se Giovanni Vernia non fosse cresciuto nel quartiere genovese di Molassana, proprio a ridosso della storica discoteca ’La Soffitta’, forse non sarebbe nato nemmeno il personaggio di Jonny Groove con cui si è imposto negli anni d’oro dello ’Zelig’ televisivo, lasciando il lavoro da manager per dedicarsi alla comicità.

Dal 2000 abita a Roma ma gli amici veri, quelli degli anni dell’università (è ingegnere elettronico) li ha lasciati ad Arenzano dove torna a trovarli, così come resta ancorato alla Liguria il legame con la sorella rimasta a Molassana.

Quali sono gli altri luoghi del cuore?

Boccadasse
Boccadasse

"Come De Andrè anch’io vado a ritrovare me stesso a Boccadasse, poi dico la passeggiata di Nervi e la Strada delle Gallerie tra Riva Trigoso e Moneglia. Prima ci passava l’antica ferrovia, adesso è una stretta corsia stradale che impone soste lunghe eterne in attesa del semaforo verde, ma offre ancora delle oasi di assoluta tranquillità perfino in piena estate, scendendo a mare da lì. Da ragazzi ci si andava a fare pesca subacquea”.

E i momenti golosi dove li localizza? "A Recco da Manuelina per la focaccia al formaggio e nel Savonese per la farinata di ceci”.

Focaccia di Recco
Focaccia di Recco

Per due volte, nel 2010 da ospite e nel 2021 da conduttore del ’Prima Festival’, è stato a Sanremo. Per cos’altro, oltre alla kermesse canora, vale la pena andarci? "Per la pista ciclabile, straordinaria, 50 km sul mare”.

Tornando quasi da turista (il 30 aprile, farà tappa a Genova col nuovo spettacolo ’Capa fresca’) cosa trova sia cambiato di più? "Genova è cresciuta molto dal punto di vista turistico e spero diventi la Barcellona d’Italia, ma i genovesi non hanno ancora la mentalità imprenditoriale di investire sulla bellezza della loro terra. Almeno però hanno l’ironia di ridere sui loro mugugni. In altre regioni si fa più fatica ad accettare i propri limiti”.

Nel suo dna Genova che cosa ha lasciato?  ”L’arte di dissacrare sicuramente, il sarcasmo pungente, l’auto-ironia, ma siccome mio padre era di Gioia del Colle (Bari) e sono anche un po’ siculo, ho fonti d’ispirazione per il mio lavoro anche dagli zii del Sud, personaggi di cui facevo la parodia. Ma pure a Roma trovo gente divertente da cui trarre spunti. Poi, da buon ligure, voglio che chi tira fuori soldi per venirmi a vedere, trovi cose nuove, non scopiazzate dal web, ma che in qualche modo sorprendano. Stavolta sul palco salgono delle tecnologie 3D che si catapultano sul pubblico”.

Genova, veduta aerea del porto vecchio
Genova, veduta aerea del porto vecchio

Quindi niente piazze virtuali per dar vita alla sua arte, ma solo quelle reali animate da umanità in carne e ossa... "Capa fresca è un modo di dire del Sud per indicare chi non riesce proprio a stare serio e lo spettacolo inneggia al senso di libertà da perseguire in tempi che paiono solo liberi ma non lo sono. Sui social ci sembre di poter commentare senza freni qualunque cosa, la tv ci offre canali su canali tra cui scegliere. In realtà ci sono gli algoritmi che lo fanno per noi ed è desolante vedere intere tavolate di amici che siedono a fianco, ma ciascuno immerso nel proprio smartphone. Non ci si parla più e l’avvento dell’intelligenza artificiale ci ruba perfino la fantasia. Ecco, ’Capa fresca’ è l’antidoto a tutto questo e rappresenta la visione della piazza, quella vera, bellissima, da visitare e frequentare, però, senza telefonino. A Ibizia ci sono già alcuni locali che impediscono di usarlo proprio per farti godere autenticamente ciò che stai vivendo, senza mediazioni tecnologiche”.

La sua forza è l’ironia, la sua missione è la risata. Come si salva dalla cupezza d’oggi? “Con lo psicologo... Scherzi a parte, chi è ’capa fresca’ da bambino poi se lo porta dietro e io con le battute ci pago le bollette. Fu mio padre a battezzarmi così dopo averne combinata una grossa grossa che rivelo a inizio spettacolo”.

Ma ha scoperto che la leggerezza può anche essere insegnata. Ha inventato il format ’Workshock’ per gli uomini in carriera... "Insegno come l’umorismo, che in azienda è sempre considerato un minus, possa invece aiutare a fare più affari, a creare coesione nei gruppi, ad aumentare la produttività, ad abbattere i conflitti. Faccio training partendo dal mio vissuto, dieci anni nell’ambito della consulenza aziendale. Ero il Patch Adams della situazione nelle multinazionali dove ho lavorato, tra Milano, Londra e l’America. Ero il più amato dai clienti, ma i miei capi, tutti in giacca e cravatta, consideravano me, così naif, una pecora nera”.