Sakè, tutto quello che c’è da sapere sulla bevanda giapponese. E perché provarlo con i dessert

Che cos’è, come viene preparato e come abbinarlo: guida alla degustazione del nobile fermentato, sfatando alcuni falsi miti

di SOFIA SPAGNOLI
19 marzo 2024
I sakè degustati nel corso dell'incontro

I sakè degustati nel corso dell'incontro

Non è un superalcolico e nemmeno un digestivo: la cultura del sakè si è diffusa relativamente in tempi recenti, e ancora sono molto i misteri e i miti da sfatare su questa bevanda fermentata che proviene dal Giappone. Versatile, dai mille profumi, il segreto per degustare il sakè nel migliore dei modi risiede nel saperlo abbinare alle pietanze giuste.

Che cos’è il sakè?

Il sakè non è un distillato ma è un fermentato, esattamente come il vino e la birra, che viene prodotto in Giappone utilizzando riso, acqua, lieviti e koji. E che cos’è il koji? È l’ingrediente senza il quale non esisterebbe il sakè. Si tratta di un fungo della famiglia della Aspergillus oryzae, il cui gusto richiama il sapore della salsa di soia, del glutammato o del miso, dal momento che è umami. Viene utilizzato da millenni per far fermentare cibi e bevande, come appunto il sakè. È difficile definire quale sia il sapore caratteristico della bevanda in questione, dal momento che ne esistono moltissime tipologie: ci sono sakè più fruttati, più secchi, più fioriti, tutto dipende dal processo di preparazione a cui sono sottoposte le materie prime.

Come viene preparato?

Il primo step per produrre il sakè è scegliere il riso giusto, chiamato Sakamai, che si differenzia dall’Hanmai, ossia il comune riso da tavola giapponese. Si tratta di una varietà che non risulta appiccicosa una volta cotta, oltre ad essere altamente solubile durante il processo di fermentazione. A questo punto il chicco verrà raffinato, ripulito e levigato. Si tratta di un processo cruciale che condizionerà profondamente il sapore finale del prodotto, dal momento che gli strati esterni dei chicchi di riso contengono grassi, minerali e proteine che tendono a creare sapori più complessi. Ne consegue che il sakè più raffinato avrà un sapore più leggero, mentre quello meno raffinato sarà più corposo. Il riso viene poi fatto riposare in un luogo fresco e buio per 14-30 giorni, così da abbassarne la temperatura e recuperare l’umidità, e viene poi lavato, per rimuovere eventuali impurità, prima di passare alla cottura al vapore. A questo punto il riso verrà raffreddato, prima di essere cosparso di spore del fungo koji, le quali dopo circa due giorni ricopriranno interamente il chicco.

La fermentazione e la pressatura

Dopo un paio di giorni, il riso è pronto per essere utilizzato per la preparazione dello shubo, il composto di partenza per la fermentazione. In base al metodo utilizzato, ci può essere l’aggiunta di acido lattico, così da aumentarne l’acidità finale. Dopo il completamento dello shubo, quest’ultimo viene trasferito in grandi taniche dove vengono aggiunti altri ingredienti che contribuiscono a formare il moromi, ovvero una massa fermentata di riso, koji, lievito e acqua che verrà poi pressato per creare il sake. Segue poi il processo di pastorizzazione a 65 gradi, ma sono molto richiesti anche i sakè non pastorizzato, che prendono il nome di Namazake, ossia sake crudo.

Sakè: non solo sushi

Proprio perché la complessità e la stratificazione di sapore dei sakè è pressoché infinta, non è esagerato dire che c’è un sakè adatto per ogni piatto, per sino da abbinare alla pizza! Quando ci si avvicina a un bicchiere di sakè, è fondamentale prestare attenzione alla leggerezza e alla freschezza che lascia in bocca. A differenza del vino, il sakè tende ad essere meno persistente sul palato. Pulisce e armonizza i sapori: ad esempio, è in grado di eliminare il retrogusto terroso del tartufo o di equilibrare le note aromatiche di piatti piccanti o molto saporiti. Questo dipende dalla presenza di amido nel riso, che affievolisce le punte aromatiche grazie alla sua capacità di assorbimento.

Il sakè si beve caldo?

Dipende. Si può sorseggiare caldo, freddo o a temperatura ambiente. Il sake può essere consumato a qualsiasi temperatura, chiaramente scegliendola in base alla sua tipologia e al tipo di abbinamento che desideriamo fare con il cibo. Ad esempio, non è consigliabile riscaldare i sakè frizzanti, ma potrebbe essere un'ottima idea scaldarne un po’ da abbinare al gelato.

Il sakè e i dessert: 10 ragioni abbinarli

Alcuni dessert proposti in abbinamento
Alcuni dessert proposti in abbinamento

Più che ai salati, i cui abbinamenti possono risultare un po’ azzardati per i neofiti, per riscoprire il sakè è consigliato abbinarlo inizialmente ai dessert. Sono 10 le ragioni per cui vale la pena provare questa combinazione secondo Marco Massarotto, sakè samurai dal 2016 e autore di ‘Sake – il Giappone in un bicchiere’, relatore dell’incontro organizzato all’Enoluogo di Civiltà del bere, a Milano, dall’associazione giapponese dei produttori di sake (Japan Sake and Shochu Makers Association). Innanzitutto, proprio per la sua spiccata capacità di assorbimento, il sakè è in grado di sgrassare e ripulire la bocca da tutti i dolci ricchi di creme o troppo zuccherati, che possono risultare stucchevoli, garantendo un’armonia di sapori e freschezza. Il sakè arricchisce i dessert, grazie al suo profilo umami, che si sposa molto bene con dolci fruttati, paste e creme. La terza ragione: riso, latte, crema, cioccolato sono gusti primari, atavici, apprezzati da molti, che si sposano con il sakè. I sake non filtrati offrono una ricchezza di acidità e aromi fruttati e tropicali, mentre quelli "muffati" e l'aroma del Koji aggiungono complessità e texture ai dolci. Il grado alcolico del sake ha un effetto sgrassante e pulente, mentre l'acido lattico dei sake si armonizza con molti dolci e creme. Il finale breve e leggero del sake lascia la bocca fresca e prolunga l'aroma dei dolci, mentre i sake frizzanti, acidi e con aromi tropicali rinfrescano e alleggeriscono i dessert.

Come degustare il sakè

Per apprezzare appieno il sakè, Massarotto consiglia di seguirne la degustazione in tre fasi distinte. La prima consiste nel gustarlo da solo, per cogliere appieno le sue note aromatiche, anche attraverso l'olfatto. Successivamente, dopo aver assaporato un boccone di dessert, si procede con la seconda fase della degustazione. Infine, nella terza fase, si consiglia di accompagnare la deglutizione del morso di dolce con il sakè. In questo modo si percepirà la complessa trasformazione gustativa della bevanda.