Perbellini, tre stelle Michelin e un nuovo inizio: “Io, figlio di pasticceri diventato chef grazie al nonno e a un prof”
Il massimo riconoscimento della prestigiosa guida ottenuto nel ristorante dove 40 anni prima aveva mosso i primi passi. Dai mentori ai possibili eredi, il neotristellato si racconta
Ha portato la terza stella Michelin non solo nella sua città, l’amata Verona, ma proprio nel ristorante in cui ha mosso i primi passi come giovane cuoco, il 12 Apostoli di Giorgio Gioco che fu primo bistellato della città, oggi ‘Casa Perbellini 12 Apostoli’ e primo tristellato veronese, in un’ideale passaggio di consegne tra maestro e allievo.
Giancarlo Perbellini, cosa si prova a ricevere il massimo riconoscimento della Guida Michelin nel posto in cui, una quarantina d’anni prima, tutto è partito?
“E’ un luogo magico, quando con mia moglie Silvia ho deciso di aprire qui il ristorante, sapevamo di essere in un palazzo che ha fatto la storia culturale e gastronomica della città. Ci ha dato grande energia e motivazione, a noi e a tutti i ragazzi della brigata che per tutto l’anno sono stati propositivi in maniera continua”.
A parte Giorgio Gioco, chi considera i suoi mentori?
“Ho avuto la fortuna di avere un bravissimo insegnante all’istituto alberghiero, il professor Matteo Lovato che, insieme a mio nonno, è stata la prima persona a trasmettermi il grande amore per la cucina. Poi Valentino Marcattilii e Gianluigi Morini, storici chef e patron del San Domenico di Imola, ed Elia Rizzo del Desco di Verona”.
La sua cucina è un ‘classico contemporaneo’, come da titolo del suo libro: cosa intende?
“Significa interpretare la tradizione secondo creatività e nuove idee, oltre ovviamente alla stagionalità dei prodotti. E’ un modo anche per non rimanere mai fermi, per inventare sempre qualcosa di nuovo. A volte riguardo i miei piatti di vent’anni fa e mi sembrano fatti da un altro chef. E’ importante evolvere, trovare sempre nuovi stimoli”.
Come ogni grande chef ha i suoi piatti iconici: qual è quello a cui è più legato?
“Il mio signature dish per eccellenza è il ‘Wafer, tartare di branzino, caprino e liquirizia’, uno di quei piatti che ti viene una volta nella vita. Al contrario di quanto si usa ora, ovvero la ricerca della semplicità combinando due massimo tre ingredienti, qui ne utilizziamo di più ma in perfetto equilibrio nel loro contrasto, per cui si sente la liquerizia, poi subentra il dolce del wafer seguito dall’acidità del caprino e alla fine torna la liquerizia. L’utilizzo del wafer, tra l’altro, è anche un omaggio alle mie radici, visto che provengo da una famiglia di pasticceri”.
Quale invece un piatto nato nel nuovo ristorante che potrebbe diventarne il simbolo?
“Gli gnocchi di patate con spuma di patate e bottarga di tonno, proposto anche nella variante ‘tricolore’ con acqua di pomodoro, pesto e ricotta affumicata. Lo gnocco non può mancare in un ristorante veronese”
Dall’alto del traguardo raggiunto e dei suoi 60 anni, c’è qualche giovane chef in cui si rivede?
“Ci sono tanti 30-40enni in gamba, talentuosi e determinati. Giacomo Sacchetto, che ha appena preso la stella qui a Verona, e Marco Stagi li conosco bene, sono stati miei allievi. Poi mi piace moto Davide Caranchini, chef del ristorante ’Materia’ di Cernobbio, sul lago di Como”.
A Milano aveva aperto il fine dining Trussardi by Giancarlo Perbellini, naufragato per il fallimento della casa di moda: ha in mente di tornare in città con un altro progetto che possa ambire a una stella?
“L’ultimo anno e mezzo, con l’apertura di Casa Perbellini 12 Apostoli, è stato frenetico e già al secondo giorno da tristellati abbiamo capito quanto lavoro ci sarà ancora da fare, perché è un traguardo che ti cambia proprio la dimensione del ristorante. Per ora guardiamo in casa nostra, a consolidare quanto ottenuto qui. Una nuova apertura è sempre molto impegnativa, prevede un forte investimento anche in termini di risorse umane, che è un aspetto cui teniamo molto. In ogni caso, se arriveranno opportunità, sicuramente le valuteremo”.