Lo chef del ristorante ‘Balzi Rossi’ firma la cucina più autentica della Riviera di Ponente. Nel menù il ‘Coniglio alla ligure’ e i ’Ravioli della Pina’ ma soprattutto il pesce fresco
Punti di vista. Sulla geografia, sulla vita e sulla strabica ambiguità di una Liguria estrema da sembrare inevitabilmente connessa alla...
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Punti di vista. Sulla geografia, sulla vita e sulla strabica ambiguità di una Liguria estrema da sembrare inevitabilmente connessa alla...
Punti di vista. Sulla geografia, sulla vita e sulla strabica ambiguità di una Liguria estrema da sembrare inevitabilmente connessa alla francese Mentone che se ne sta lì di fronte quasi a voler rimarcare la propria beauté rispetto a quella di Ventimiglia che, insomma, non è la località della Riviera più fotogenica ma che una firma illuminata come Nico Orengo aveva pur sempre celebrato dichiarandosi affascinato dalla sponda sinistra della foce del Roia.
Incredibile come possa viaggiare l’immaginario in un luogo speciale come i Balzi Rossi. E lo sa bene Enrico Marmo, piemontese arrivato a ridosso della frontiera per dimostrare che un campione dell’alta cucina può snobbare Milano o Portofino e restare al centro del mondo anche in un luogo in bilico fra le rocce e il mare e ad una manciata di metri da una vecchia dogana che in base alle fibrillazioni politico-internazionali appare open o torna ad essere un grigio ’altolà’.
Scelta coraggiosa ma anche oculata di questo chef 37enne con un curriculum vitae impreziosito da forti esperienze precedenti (Carlo Cracco e Davide Palluda). Perché è vero. Una location a ridosso di un confine evoca più l’idea di un retrobottega che di una bella vetrina. Ma non per questo monferrino cartesiano, deciso, due-tre anni fa a scommettere sui Balzi Rossi e ad investire sul potenziale strepitoso di un Ponente non sempre attento a valorizzare il buono che possiede. Come dire: se non lo fanno gli altri, lo faccio io. E infatti, da "vero ligure senza esserlo", Enrico è diventato un paladino della biodiversità locale, anche grazie alla disponibilità di 10 ettari terrazzati, dispensa naturale dove trovare fave, carciofi spinosi ma anche erbe spontanee, l’acetosella, la borragine e il tarassaco che l’intraprendente chef di Canelli (Asti) conosce e adora.
Certo, conta anche la suggestione. E diamine, al ristorante ’Balzi Rossi’ abbonda se è vero che arrivano in gran numero i clienti da Mentone, Montecarlo e Cannes, felici di accomodarsi nel bel locale dall’eleganza minimal; di notare la violenza delle onde che, nei giorni di mare arrabbiato, rimanda alle coste della Cornovaglia; e di gustare piatti ’stranieri’, ovvero liguri, che loro, i cugini transalpini, si sognano. Quelli che il piemontese Marmo sa invece interpretare alla grande, onorando la signora Giuseppina Beglia che dei Balzi Rossi era stata l’anima già negli anni ’80. Come l’intramontabile ’Coniglio alla ligure’ e i ’Ravioli della Pina’ con arrosto di coniglio ed erbe di campo.
Senza dimenticare il pesce, marcatore assoluto assieme ai vegetali, che Enrico si premura di cucinare in modo impeccabile contando sui rifornimenti giornalieri di 3 fidatissimi pescatori. E che riesce poi a esaltare in preparazioni ritracciabili à la carte o nel menù ’Momento’ come la ’Fantasia di crudo e crostacei’ o i ’Piccoli Gamberi di Sanremo accostati ai fagioli di Pigna’. La location aiuta? Almeno quanto la cura dei dettagli, rintracciabile anche nella competenza del sommelier Lorenzo Moraldo e nell’empatia di Eleonora Revello, moglie dello chef e responsabile di sala, molto influente quando 3 anni fa dalla signora Giuseppina era arrivata la proposta ad Enrico di tornare ai Balzi Rossi (dove aveva già avuto un’esperienza di 2-3 anni) ma stavolta di farlo rilevando la gestione. Davvero non male. Anche se, è noto, quello dell’alta ristorazione è un lavoro totalizzante. Tant’è. Enrico non sembra lamentarsi più di tanto, se non per il dispiacere di non potere usare come vorrebbe la bike ’Scott’ con cui ama avventurarsi nell’entroterra ligure.
Lo dichiara: "Stare in cucina mi rende felice". E per accertarsene, basta ascoltarlo mentre tesse l’elogio delle ’olive taggiasche’, firma un menù dedicato all’olio novello e decanta gli ulivi, monumentali e vigorosi, in cui sembra identificarsi. Diavolo di un piemontese. Quando chiedi di conoscere il suo mantra, non ha esitazioni. Prende a prestito un vecchio e noto aforisma e lo riadatta da par suo: "Chi si accontenta, muore".