Marina Ravarotto, la Sardegna in ‘ChiaroScuro’ dall’amata Barbagia a Cagliari

Nell’osteria contemporanea del capoluogo la chef si racconta attraverso lo spirito tenace della sua terra natale e i profumi ancestrali di piatti sardi rivisitati e rivalutati

di PAOLO GALLIANI
2 giugno 2024
Marina Ravarotto, chef dell’osteria contemporanea ’ChiaroScuro’

Marina Ravarotto, chef dell’osteria contemporanea ’ChiaroScuro’

La voce graffiata le dà un che di intrigante. Come una sorta di impronta vocale che assieme agli occhi azzurri e alla chioma ridotta al minimo sembra voler rimarcare che lei non è una donna qualsiasi. Non lo è davvero.

E non perché la di vede spesso scorrazzare per Cagliari in sella alla sua bici da corsa o perfino a cavallo di qualche vecchia moto d’epoca. Del resto, le cose migliori Marina Ravarotto le dispensa nella sua osteria contemporanea ChiaroScuro, con quel nome che rimanda ad una delle raccolte di novelle più apprezzate di Grazia Deledda, scrittrice nuorese e musa di una Sardegna struggente, diffidente ma anche deliziosamente ospitale che la chef identifica con la sua Barbagia natale, perché – ripete – "sapere chi siamo e da dove veniamo aiuta ad acquisire consapevolezza".

Donna di poche parole. Ma anche tosta e tenace, attributi necessari se devi convincere chi ti sta attorno che la buona ristorazione al femminile non sia un paradosso. Certo che non lo è. L’aveva intuito Mario Tirotto che al Valle dell’Erica di Santa Teresa di Gallura le aveva trasmesso tecnica e mestiere. E lo sanno bene i cagliaritani che hanno imparato ad apprezzare le delizie di questo locale di corso Vittorio Emanuele dove ogni cosa celebra la gustosa cucina sarda e in particolare quella barbaricina, per nulla omologata, tantomeno modaiola. Con le sue perle.

Come il ‘pane frattau’, con carasau, salsa pomodoro e brodo di pecora. E come l’iconico e beneaugurante ’Su Fílíndeu’, pasta di semola antica e ancestrale che è ormai una rarità ma che lei, Marina, ha imparato a produrre dopo studi e applicazione, realizzando i famosi ’fili di dio’, spaghetti finissimi che vengono poi messi nel brodo di pecora opportunamente chiarificato per renderlo più delicato e leggero.

Degustazione al limite della contemplazione. Anche se, a buon diritto, c’è chi non ha voglia di rinunciare ad altre chicche della casa, come i ravioli ripieni di purpuzza (salsiccia aromatizzata con spezie e semi di origano), i brasati di cinghiale, l’agnello in oliocottura e la tartare di pecora in olio di lentisco, ben valorizzate anche nei due Menù Degustazione – ’Tradizionale’ e ’A Mano Libera’ – dove è più evidente la filosofia della 43enne nuorese che si fa apprezzare per la sua capacità di scomporre gli ingredienti delle ricette più classiche e poi di ricomporli in modo geniale.

Tutte specialità ovviamente accompagnate da qualche buon Vermentino che l’amica e sommelier Francesca Cadinu si premura di selezionare e proporre attraverso una Carta dei Vini dove si nota l’ennesimo testo della Deledda, tratto stavolta da ’Canne al vento’ che è forse il suo capolavoro. Posto speciale perfino nella presentazione dei piatti, se è vero che al ’ChiaroScuro’, la classica scansione ’antipasti, primi, secondi e dolci’ viene rimpiazzata con l’espediente dei cosiddetti ’Capitoli’, invito esplicito ad avvicinarsi alle pietanze come alle pagine in un libro di cui ovviamente non si conosce la trama e tantomeno il finale. Giusto che sia così.

Perché c’è sempre qualcosa che sfugge nell’ordito mentale di chi, come Marina, sa di dovere molto alla città che 7 anni fa l’ha accolta, rimanendo comunque convinta che la sua mission sia quella di dare voce e visibilità alla Sardegna meno intima e più nascosta. Perché è pur vero: Cagliari è una città interessante e amabile. Ma – è lei stessa a ripeterlo – nulla vale il ritorno in Barbagia. A ritrovare papà Pietro e la sorella Stefania. E a scartocciare le emozioni che solo le radici hanno il potere di provocare: la protezione, la famiglia. E l’appartenenza.