Dalla corte di Ferrara alle Valli di Comacchio: viaggio nel gusto fra la terra e il mare
Tra casoni e castelli, anguilla e cappellacci raccontano la storia di un territorio antico lungo la Strada dei Vini e dei Sapori. Una cucina antica impreziosita dagli Este

Il centro storico di Ferrara
Una cucina antica, impreziosita dagli Este, che fecero di Ferrara una delle più ricche e raffinate corti rinascimentali europee. Filo conduttore, la fusione nello stesso piatto di dolce e salato, come racconta ancora oggi la frolla che avvolge il pasticcio di maccheroni, portato in queste terre da Eleonora d’Aragona, la sposa del duca Ercole I d’Este che introdusse la pasta in un mix di carne, besciamella e tartufo.
Dolce e salato sono l’emblema di questo viaggio nei sapori e nella storia di un territorio affascinante sospeso tra terra e mare: Ferrara, con il maestoso castello oggi sulla terraferma, ma un tempo circondata e attraversata dai canali, con tutta la dolcezza di una corte sfarzosa, e il salato delle Valli di Comacchio, dove le anguille vengono ancora pescate in acque salmastre (ed è questo che rende unico il loro sapore) e dove la vita del vallante era dura oltre ogni immaginazione. In mezzo, lungo la strada tra Ferrara e Comacchio, c’è Tresigallo, il villaggio autarchico voluto da Edmondo Rossoni, capo del sindacato fascista e poi ministro di Mussolini, oggi nota come la Città Metafisica. Siamo sulla Strada dei Vini e dei Sapori, che unisce il Delta, il fiume e la città.
Ferrara e la Corte Estense
Dimenticatevi le cittadine di provincia. Nonostante le dimensioni (oggi conta 120mila abitanti), quella di Ferrara è una storia da capitale, come dimostrano i 10 chilometri di mura che la circondano e che si possono percorrere in bici. Le radici medievali della città tutelata dall’Unesco si leggono nel groviglio di stradine, mentre lo sfarzo rinascimentale si trova nell’imponente castello, nato nel 1385 come fortezza e trasformato in residenza quasi due secoli dopo: vi si arrivava in barca direttamente dal Po, che ancora oggi alimenta il fossato. Qui nel Cinquecento arriva Cristoforo da Messisbugo, Il primo grande cuoco e, soprattutto, scalco e maestro di Casa. Con lui vengono organizzati banchetti-spettacolo memorabili per gli ospiti di corte. Ed è sempre lui a creare le ricette dei “capelli d’angelo” e del caviale cotto: siamo vicini al Po e all’epoca si pescavano molti storioni, di cui si mangiavano carne e uova.

Poco distante dalla sfarzosa corte si erge la statua di Girolamo Savonarola, nato a Ferrara, fustigatore dei costumi corrotti e della decadenza della chiesa, mandato a morte come eretico. Nella stessa piazza, su un pilastro c’è il padimetro che misura le piene del Po nella storia: alla base, il segno di guardia al Ponte Lagoscuro, più in alto le massime piene del fiume, dal Settecento al 1951, con l’alluvione del Polesine che portò il livello a 4 metri e 30. Proseguendo, in via Adelardi, c’è l’osteria più antica del mondo: qui, “Al Brindisi”, nata nel 1435 e mai chiusa, incrociarono i calici personaggi come Ariosto, Copernico ci passò anche Giovanni Paolo II prima di diventare papa.

E sempre in centro, passeggiando oltre la cattedrale del 1135 e il ghetto ebraico, c’è un gioiello da poco restaurato: Palazzo Schifanoia. Il nome è il manifesto di uno dei più bei palazzi degli Este (ne avevano 50 in campagna) nato proprio per “sfuggire alla noia”. Nel 1385, quando fu realizzato, si trovava ancora in una zona di campagna, a trasformarlo fu il duca Borso d’Este, che nel 1471 grazie al papa aumentò il potere di quelli che fino a poco prima erano semplici marchesi. Un potere celebrato dai pittori dell’Officina Ferrarese nel Salone dei Mesi, interamente affrescato con un ciclo tutto pagano, fra divinità egizie, segni zodiacali e scene di vita quotidiana a corte: Borso viene rappresentato a caccia, mentre amministra la giustizia, col suo preferito o al palio di Ferrara.

Tra le chicche custodite dal palazzo appena rinato, le ceramiche realizzate con una tecnica a graffito che permetteva una sola cottura (gli Este buttavano i piatti dopo avere mangiato).
Il segreto dei cappellacci e del pane ferrarese

Palazzo Pendaglia è la sede dell’Istituto Alberghiero Orio Vergani, dove i segreti della cucina ferrarese vengono tramandati non solo agli studenti, ma ad appassionati, turisti e curiosi, a cui sono dedicati laboratori specifici il sabato mattina. Preside il professor Massimiliano Urbinati, che è anche presidente dell’associazione Strada dei Vini e dei Sapori della Provincia di Ferrara, che promuove, tutela e mette a rete questa straordinaria ricchezza enogastronomica, trasformandola anche in un’occasione turistica.

Davide Marzola, tecnico assistente alla cucina al Vergani dal ’96, è il re dei laboratori. Qui ogni sabato mattina arrivano i turisti a impastare, tirare la pasta e farcire i cappellacci di zucca violina, famosi già nel Cinquecento, e le coppie ferraresi. Con 25 euro si impara a cucinare e alla fine si mangia ciò che si è preparato. Per gli eventi c’è il ristorante didattico, guidato dallo chef Luca Borghi con la collaborazione dei ragazzi, che qui si esercitano e sperimentano come sfruttare al meglio i sapori del territorio.

Tra i prodotti legati alla terraferma ci sono i salumi: il salame gentile e la “zia”, che si mangia con le “coppiette” di pane, mentre la salama da sugo si gusta col purè.

Non mancano i dolci, dalla torta tenerina, con il cuore di cioccolato fondente, alla torta tagliolina, con i capelli d’angelo e i tagliolini dolci a guarnizione. Degustazioni a due passi dal castello, all’Hostaria Savonarola, un locale molto frequentato proprio sotto la statua del frate domenicano scomuicato da papa Alessandro VI. A pochi passi c’è l’hotel Touring, dove si può dormire guardando il castello.

Il ghetto, Giorgio Bassani, il Meis
Ferrara è anche la città del ghetto ebraico, dello scrittore e poeta Giorgio Bassani e del suo “Giardino dei Finzi Contini”, e soprattutto del Meis, il Museo nazionale dell’Ebraismo e della Shoah, nato con la missione di raccontare duemila anni di storia degli ebrei in Italia. Un museo che sorge in un luogo emblematico, le ex carceri di via Piangipane: del complesso originario sono stati mantenuti i due edifici storici più significativi, che verranno accostati da strutture moderne simbolo dei cinque libri della Torah, il Pentateuco. Al più grande museo di cultura ebraica in Italia si accede dal Giardino delle domande, un piccolo labirinto verde dedicato alle regole alimentari ebraiche, mentre nell’edificio principale si vedono ancora le tracce delle vecchie celle, in un percorso dalla diaspora all’orrore della Seconda Guerra mondiale, fra testimonianze e multimedialità.
Le Valli di Comacchio, i fenicotteri e l’anguilla
Una giornata particolare nell'area che ospita il centro visite Unesco, dalla cui terrazza si gode di un panorama unico che sovrasta la colonia di fenicotteri. Siamo a Bettolino di Foce, nelle Valli di Comacchio, teatro della civiltà dell’anguilla, celebrata nel 1955 dal regista Mario Soldati nel film “La donna del fiume”, con una giovane e prorompente Sofia Loren al lavoro nella famosa Manifattura dei Marinati.

L’attività della pesca e del sale costituirono per secoli le basi dell’economia della zona. Oggi il Parco regionale del Delta del Po è riserva della biosfera Unesco, tra boschi, canneti, dune e sacche marine e i suoi fantastici ospiti, come il fenicottero rosa, che ha colonizzato il Delta nel Duemila, diventandone l’emblema. Il Delta del Po è una delle aree con la più alta biodiversità d’Italia e d’Europa, con oltre mille specie di piante, 500 di vertebrati e quasi 350 di uccelli, che ne fanno una delle mete più importanti per il birdwatching, tra aironi, gru, beccacce di mare e falco cuculo.

Ma il Delta è anche attività dell’uomo, tra casoni e tabarre: un’esperienza fuori dal tempo è un giro in barca fino al casone Serilla, una delle grandi stazioni di pesca della valle, con l’ampia tabarra dove si costruivano e si immagazzinavano gli attrezzi. Dei cento casoni esistenti, dove i vallanti vivevano nella fatica isolati delle famiglie e dal paese per lunghi periodi di lavoro, oggi sono in funzione cinque stazioni di pesca e sette case di vigilanza. A raccontarle c’è una guida esperta, Federico de Marco, che narra le storie di fatica dei vallanti, lontani dalle famiglie anche per 40 giorni, delle guardie e dei pescatori di frodo in un eterno e sfiancante gioco di ruolo per la sopravvivenza. Storie di miseria e fatica che qui sono nel dna di ogni famiglia, dove nessuno ignora cosa sia un lavoriero, fatto di incannicciate, pali e pertiche, per consentire la cattura del pesce, anguille, acquadelle, gamberetti, sogliole e passere. Oggi le valli e le saline di Comacchio si possono visitare in barca, in canoa, in bicicletta e nelle tradizionali batane, barche a fondo piatto costruite proprio per spostarsi nelle acque basse.

Al Casone Bettolino oggi di possono gustare i piatti della tradizione accompagnati dai famosi Vini delle Sabbie, fondamentali per sgrassare il palato dopo avere mangiato l’anquilla e i marinati: il bianco fermo o il rosso Fortana, il vino amato da Giuseppe Verdi, arrivano dalla cantina Corte Madonnina, vicino all’abbazia di Pomposa. Al Bettolino, nato nel 1626, c’è ancora il camino originario della sala da pranzo. Alessandra Margherita Verduci è qui da 12 anni.

“Di fronte c’erano i lavorieri, dove i pescatori stavano 40 giorni, per essere poi mandati a casa a rotazione - racconta -. Si affaccia sulla Valle Fatti Bello, chiamata così perché c’era il barbiere che li metteva a posto ogni volta che tornavano dalle mogli. Era il regno delle malattie, l’igiene non c’era. Questo è stato in luogo che per secoli ha dato da mangiare a chi non aveva nulla”.
La Manifattura dei Marinati si è trasformata: il laboratorio-museo che raccoglie le testimonianze della civiltà dell’anguilla che ancora oggi viene lavorata qui, è diventato anche il centro di un percorso esperenziale. “A chi entra offriamo un percorso culturale guidato, mentre la Sala dei Fuochi è utilizzata per eventi e degustazioni”, spiega Alessandro Menegatti, presidente della cooperativa sociale che gestisce la Manifattura. L’anguilla viene preparata al momento su uno dei camini della sala più spettacolare.

Erano dodici le famiglie che avevano la licenza per la sua lavorazione, dodici come i camini che oggi dominano la grande sala. Qui nel periodo autunnale è possibile vedere l’intero ciclo di lavorazione, dal taglio allo spiedamento, dalla cottura al confezionamento. La sala degli aceti è invece caratterizzata da grosse botti per la preparazione della salamoia.

La Manifattura è un museo dove è possibile conoscere le barche dedicate alla pesca, dalla battana al velocipede, gli strumenti per la loro costruzione, oltre ai filmati dell’epoca. Il prodotto è anche riconosciuto come Presidio Slow Food: al bookshop è possibile acquistare l’anguilla marinata tradizionale delle Valli di Comacchio, l’acquadella marinata e l’acciuga marinata, il miele, il cioccolato e i vini, oltre ai prodotti dell’artigianato locale. E ora è possibile anche seguire un percorso di degustazione, tra storia e sapori da 10 a 15 euro, da abbinare al biglietto di ingresso (5 euro), vino compreso.
Tresigallo

A metà strada, fra Ferrara e Comacchio, c’è Tresigallo, gioiello dell’architettura razionalista nel verde della pianura. Una città geometrica perfetta, che sembra uscita da un quadro ma che De Chirico pare non visitò mai. Oggi, tra l’albergo Italia, la gelateria Impero e i pochi simboli rimasti (solo due) di un periodo che brucia ancora, la Città Metafisica è meta di architetti, storici, studiosi e amanti dell’arte. Una città rifondata nel ’35, in pieno regime fascista, dall’allora ministro dell’agricoltura e foreste, Edmondo Rossoni, che qui era nato. Una città ideale, da ridisegnare ad opera di Carlo Frighi secondo le esigenze di un preciso progetto autarchico e sociale. Come? “La chiesa era piena di debiti ma aveva grandi terre, e il paese era pieno di disoccupati, con grandi estensioni di campi a barbabietola, canapa, tabacco, mais. Rossoni rifece il paese saldando i debiti della chiesa attraverso l’acquisto dei terreni”, ricorda il professor Mauro Merlanti.

Rifatta la chiesa, costruita la via del welfare tra asilo nido, casa del merletto, campo sportivo e sanatorio dove curare la tubercolosi o ospitare i figli della famosa “Quarta sponda”, i piccoli coloni d’oltremare chiamati qui a visitare la madrepatria. In fila, le casette degli operai, la Casa della cultura poi Gil (Gioventù italiana del littorio) con la palestra e i vicini Bagni Sogni, oggi il luogo più istagrammato della città. “La gente però non aveva soldi e si lavava nei fossi”, continua lo studioso. E poi la piazza metafisica, a forma di anfiteatro, con la fontana e le quattro gazzelle in onore delle guerre d’Africa. “La narrazione di Tresigallo inizia nel 2016 - spiega il sindaco, Mirko Perelli - Oggi è meta di un turismo culturale e tecnico, l’ambizione è di farne una città turistica vera e propria a poca strada da Ferrara, Comacchio e i lidi”.
Gli eventi
Il 12 aprile e l' 11 maggio a Palazzo Pendaglia di Ferrara, due maestri indiscussi della cucina italiana, Igles Corelli e Daniele Persegani, guideranno i partecipanti in un viaggio sensoriale attraverso i secoli con la Strada dei Vini e dei Sapori della Provincia di Ferrara, ente organizzatore e promotore degli appuntamenti nell’ambito del festival Festina Lente. Sabato 12 aprile, appuntamento con lo Chef Stella Michelin Igles Corelli.

Mentre le sue mani lavoreranno la zucca violina per uno sformato che si sposerà con una vellutata di fagiano, potrete quasi sentire l'eco delle conversazioni alla corte estense, dove Cristoforo Messisbugo, maestro delle cerimonie, deliziava i commensali con creazioni simili. Il branzino ripieno di mortadella, accompagnato da finocchi brasati e profumato con olio al basilico, racconterà storie di innovazione e tradizione che si intrecciano. Domenica 11 maggio il carismatico Daniele Persegani svelerà i segreti delle spezie che un tempo valevano quanto l'oro. Sotto la sua guida appassionata, si prepareranno "gnocchi di cacio fresco alla cannella con asparagi in crema", una ricetta che evoca i "maccaroni detti gnocchi" di cui parlavano Messisbugo e Scappi nei loro trattati cinquecenteschi. Un'esperienza multisensoriale nell'atmosfera rinascimentale ricreata nei minimi dettagli: tavoli apparecchiati con tovaglie e stoviglie d'epoca, piatti di ceramica graffita fedelmente riprodotti da artigiani locali, figuranti in costume della Fondazione Palio Città di Ferrara che si aggireranno tra i commensali. Basterà chiudere gli occhi e sembrerà di essere stati catapultati in un banchetto alla corte degli Este.