Bruno Pizzul racconta il suo Friuli Venezia Giulia: "Dal mare ai monti: una terra, tante culture"

di RICCARDO JANNELLO
27 marzo 2023

Bruno Pizzul

Tutta una questione di accento: se pronunciate a Bruno Pizzul, voce indiscussa per decenni dello sport italiano sui canali Rai, il nome della sua Cormòns - 7.000 abitanti in provincia di Gorizia a un tiro di schioppo dal confine sloveno - in modo sbagliato subito vi riprende: dovete stare attenti, i miei concittadini si offendono... Pizzul, che cos’è per lei il Friuli Venezia Giulia? “Casa mia: ci sono nato e vi ho vissuto i primi anni e quindi francamente qui mi sento perfettamente a mio agio. Dopo essere stato oltre 50 anni in giro per l’Italia, assieme a mia moglie siamo tornati a casa nostra, un’aspirazione sempre coltivata per tutto il periodo in cui siamo stati lontani da queste parti. La nostra soddisfazione per essere tornati è immensa”. Qual è l’anima di questa regione così amata? “Anche il Friuli come il resto d’Italia e direi del mondo si è modificato, ma queste terre sono riuscite a mantenere una patina di mistero per coloro che non le conoscono. E il grande segreto di questa Regione è che in un territorio esiguo c’è una varietà di situazioni enorme. Uno dei figli più importanti del Friuli, Ippolito Nievo, diceva quando voleva definire la sua terra: un piccolo compendio dell’universo. Penso avesse ragione”. Che cosa caratterizza il territorio e la sua popolazione? “Si può variare dall’alta montagna, alle Prealpi, al territorio collinare; e per quel che riguarda la parte marina si va dalle coste sabbiose al litorale roccioso del triestino. La varietà territoriale si riflette nella varietà umana; d’altronde il Friuli Venezia Giulia è l’ideale crogiolo di tre grandi aree culturali ed etniche: slava, italiana e tedesca. E da questo passato così frammentato nasce una storia anch’essa estremamente frammentata che mantiene popolazioni così variegate come lo sono le terre”. C’è una sorta di campanilismo fra le varie zone? “Quello che si verifica del resto in tutto il territorio nazionale: le rivalità acuite da un passato molto diversificato sia dal punto di vista territoriale sia da quello politico”. Questo fatto incide ancora molto sulla vita regionale? “Prendiamo ad esempio la mia Cormòns che per 400 anni è stata sotto gli Asburgo e quindi le persone hanno maturato una mentalità molto simile a quella della vicina Austria. Laddove invece il Friuli classico, quello udinese, è rimasto più legato alla dominazione di Venezia anche il folclore segue la forma tipicamente veneta e porta avanti i propri trascorsi, il suo passato, ritenendoli più degni di attenzione degli altri”. Anche il linguaggio segue questo percorso? “Francamente si vede anche negli atteggiamenti e nelle parlate di Gorizia e della stessa Trieste che a inizio secolo scorso erano frequentate, vissute e parlate da tanta gente di diversa estrazione. A Gorizia era naturale ascoltare italiano, sloveno, tedesco e il friulano come lingua di scambio. Dopo le dure vicissitudini delle due guerre, nella città si parlano il dialetto e un po' di friulano, mentre il tedesco è praticamente scomparso mentre prima tutte le scuole lo insegnavano mentre l’italiano occhieggiava”. Una zona molto interessante della sua regione è la Carnia: come la descriverebbe? “La Carnia è particolarissima, con trascorsi caratterizzati da molta povertà e una mentalità chiusa anche nel linguaggio, abbastanza difficile da comprendere anche dal resto dei friulani. Ma poi hanno capito, come nel vicino Cadore, che il movimento turistico era di fondamentale importanza. Così la gente si è aperta e ha ottenuto successi nel campo commerciale e anche nell’area culturale e scientifica”. Tarvisio è un punto nevralgico di questa terra? “Si tratta di una città europea che conserva ancora la sua peculiare caratteristica multilinguistica”. Quando si parla di Trieste tutti si emozionano: come mai? “Trieste è troppo bella e i triestini sono gente particolare. Le differenze col resto del territorio si percepiscono anche nel modo in cui si esprimono musicalmente. Mentre le canzoni popolari friulane sono bellissime ma generalmente tristi e permeate da mancanza di serenità, loro sono completamente diversi, più portati alla gioiosità e a prendersi in giro come dimostra ‘El can de Trieste’ di Lelio Luttazzi. E poi la città è un centro culturale straordinario visitato da tutti i più grandi intellettuali a partire da Joyce oltre a tutti quelli a cui ha dato i natali. E nonostante una storia recente abbastanza dolorosa e triste, primeggia in Europa come polo scientifico”. Insomma, perché visitare il Friuli? “Perché riserva grandi sorprese senza dovere viaggiare un tempo infinito: qui in mezz’ora passi diversi mondi”. Senza dimenticare cibo e bevande, vero? “La straordinaria ricchezza della cucina locale risente di molti incroci e francamente è interessante. Così come i gioielli enologici fanno del Collio una vera capitale italiana del vino”.