Valli di Comacchio, la nostra Camargue e sua maestà l’anguilla
Sotto il sole dell’estate, la barca avanza nel silenzio. Lungo le sponde crescono la canna palustre e la salicornia, che oggi è una specie protetta, in lontananza stormi di uccelli si alzano in volo, gli schizzi d’acqua sul volto sono decisamente rinfrescanti. Il vallante che conduce l’imbarcazione conosce ogni segreto di questi luoghi solitari e un po’ selvaggi che sembrano dissolversi nell’infinito: “Guardi laggiù”, dice, indicandoci all’orizzonte un gruppo di fenicotteri che hanno trovato qui un nido sicuro, il loro luogo del cuore. Sono creature meravigliose, eleganti, preziose e timide: non dobbiamo disturbarle, ma possiamo almeno lasciarci ammaliare dalla loro bellezza. Navigare nelle valli di Comacchio (Ferrara), la Camargue italiana, è come immergersi direttamente in una storia che si perde nella notte dei tempi, un racconto di fatica e di lavoro legato soprattutto alla pesca, in particolare dell’anguilla. Fra il delta del Po e il mare, le valli sono il più vasto complesso di zone umide salmastre d’Italia. Poco più di un secolo fa, erano estese su circa 49mila ettari: le bonifiche, che hanno permesso di recuperare terreni all’agricoltura, le hanno ridotte di tre quarti, ma rappresentano uno straordinario ecosistema (tutto il Delta del Po è riserva della biosfera Unesco) e una testimonianza viva - e ancora presente - di tradizioni secolari che la modernità non ha cancellato. La barca attracca a uno dei tradizionali casoni di pesca che erano il ‘fulcro’ dell’organizzazione del lavoro: fino al Seicento erano costruiti di canne e paglia, poi furono rifatti in muratura e ampliati. Presso ogni stazione di pesca lavorava una decina di vallanti, e ogni gruppo formava una ‘famiglia di valle’, con un caporione, un sottocaporione, retaroli, ragazzi. C’erano anche i sorveglianti a vigilare sui pescatori di frodo, i fiocinini che si muovevano su agili barchette, i vulicépi. Alcuni casoni sono stati recuperati e oggi - come musei delle valli - offrono uno spaccato della vita di valle, dei suoi ‘riti’ e delle sue attrezzature. Il periodo forte della pesca coincide con l’autunno, quando le anguille dalle valli si portano verso il mare: devono raggiungere il mar dei Sargassi, con un viaggio lunghissimo, per riprodursi. Per catturarle, già in tempi antichi è stata inventata un’ingegnosa trappola a forma di freccia, il lavoriero, che permette di separare le anguille da altri pesci. Alla Manifattura dei Marinati, nel centro storico di Comacchio, piccola Venezia di ponti e canali, ancora oggi la marinatura dell’anguilla segue le ricette tramandate da secoli: è possibile visitare la sala dei fuochi, con i dodici camini per la cottura, e la sala degli aceti con i tini e le botti, dove si prepara la salamoia per la conservazione. Per tre weekend, fra settembre e ottobre, Comacchio celebra l’anguilla nella sagra dedicata a questi sapori antichi, riconosciuti Presidio Slow Food. Ma ogni giorno dell’anno, in queste valli, si assapora il tempo che scorre. Con incantevole lentezza.