Nell'antica via Obici le foto di Sarajevo dopo l'assedio
Lungo la strada acciottolata che a Spilamberto porta il nome di Giuseppe Obici – il grande scultore nato qui il 10 ottobre 1807 e ricordato da una targa, autore delle statue dell’Immacolata Concezione e di San Giovanni Battista entrambe a Roma e con il gesso di quest’ultima nella chiesa parrocchiale di Spilamberto – fino all’8 agosto ogni week end sono esposte le foto di Alex Elena nella mostra “Sarajevo: 20 anni dopo l’assedio”.
Il musicista e fotografo romano – rientrato sette mesi fa dall’America dove ha vissuto più di 25 anni – era stato nel 1994 nella capitale della Bosnia Erzegovina come batterista di Bruce Dickinson per un concerto che è diventato film: “Scream for me Sarajevo”, urla per me Sarajevo; nel 2014 il suo viaggio successivo, stavolta con la macchina fotografica al posto delle bacchette. Ritratti, principalmente, che raccontano un popolo sconfitto dalle bombe, ma mai completamente vinto, capace, nonostante i più di 12mila morti causati dalle forze serbe, di risollevarsi ed essere ora di nuovo una comunità unita e con grande spirito culturale e sociale. Le foto di Elena sono in bianco e nero, “perché il colore trasfigura, cambia la prospettiva e si prende da solo tutta la scena”. Scatti nati dal cuore più che dalla tecnica, perché “se non si possono raccontare storie – dice ancora Alex che ha partecipato sabato 10 a una serata pubblica nel Cortile d’onore di Rocca Rangoni – è inutile consumare pellicola. E anche col digitale il primo scatto deve essere quello che ti viene da dentro senza bisogno di mediazioni”. Quelli raffigurati da Alex Elena a Sarajevo sono diventati amici, che si riconoscono nelle facce emaciate ma sorridenti e pure nei lineamenti che talvolta escludono gli occhi “perché quando scatto una foto chiedo sempre il permesso di renderla pubblica”. Storie che questo minuto romano cittadino del mondo ha raccolto in gran parte del pianeta, soprattutto dove la gente vive emarginata: le foreste di Panama, gli slum di Nairobi, le catapecchie del Gambia. Spilamberto, paesino di 13mila anime in provincia di Modena, l’ha accolto per primo in Italia grazie al Mercatino di via Obici con passione ricambiata da una serie di foto che, chissà, possono diventare loro stesse mostra. Gli organizzatori – appunto gli infaticabili ragazzi del Mercatino col patrocinio del Comune - hanno reso vivo il tempo solitamente preso, pre-pandemia, dalla Fiera di San Giovanni, il patrono. Le norme di sicurezza hanno spalmato gli appuntamenti in vari mesi e così fino a settembre ci sarà sempre qualcosa da fare in Paese. Il Mercatino di via Obici è un’Associazione culturale benefica che vive da 50 anni e che da cinquant’anni organizza eventi i cui ricavati vanno alla locale Casa di riposo. Così sarà anche quest’anno con il ricavato della vendita delle foto di Alex Elena, autenticate dall’autore. Nel 1971 a dare il via a tutto fu Severo Severi, personaggio paradigmatico che proprio in via Obici abita, disegna e crea. Dalla Collettiva dei pittori spilambertesi in poi è stato un susseguirsi di idee intriganti, dal Dizionario della lingua locale al Mercante in Fiera, dove i personaggi del Paese sostituiscono le carte originali; anche il nuovo direttivo si muove in questo senso e ha creato tra l’altro il Monopoli e il Risiko cittadini.
Non solo via Obici, ma ad esempio Corso Umberto dalla Rocca al Torrione merita una passeggiata, come il Parco della Rocca che custodisce fra l’altro tre pezzi del Muro di Berlino. E per chi cerca oltre che suggestioni culturali – corroborate dall’Antiquarium - anche quelle culinarie è comunque nel posto giusto: a Spilamberto ha sede il Museo dell’Aceto Balsamico, c’è quella dell’Ordine del Nocino e i ristoranti dove si mangiano tortellini in brodo da urlo sono tanti, come spuntano locali nei quali fare l’aperitivo diventa un must, magari con un Lambrusco, altro prodotto del territorio circostante. Insomma, una piccola comunità dove si può ancora, nonostante tutto e vecchie reticenze, assaporare il gusto della vita.