Alpe Cimbra, mille vacanze diverse all’ombra del drago

Borghi antichi, passeggiate nel verde aspettando la stagione dello sci, delizie nel piatto e tappe insolite: dalla ex base Nato al paese natale di Santa Paolina

di MONICA GUZZI
26 settembre 2024
Il Drago Vaia Regeneration

Il Drago Vaia Regeneration

Quando arriva la tempesta, puoi solo aspettare che finisca. Poi puoi scegliere come reagire. Marco Martalar, artista del legno di fama mondiale, ha reagito due volte. La prima volta creando un’opera indimenticabile, il Drago di Magré, alto più di 6 metri e lungo 7, realizzato con 2000 pezzi di radici degli alberi spazzati via dalla Tempesta Vaia nell’ottobre del 2018. Poi, quando il suo drago è stato bruciato per mano sconosciuta, realizzandone un altro ancora più bello, fiero e grande, rinato dalle sue stesse ceneri utilizzate nella nuova opera d’arte.

E’ il Drago Vaia Regeneration, il più grande d’Europa, che veglia maestoso sulla vallata in cima a Lavarone, sopra la frazione di Magrè. Il drago, accessibile solo attraverso un sentiero a piedi, è oggi il simbolo della resilienza di una terra, l’Alpe Cimbra, località Alpine Pearls diventata famosa soprattutto per la natura, ma che con un turismo ben consolidato (a Lavarone già soggiornava il padre della psicanalisi, Sigmund Freud) non ha perso la sua anima. Folgaria, Lavarone, Lusérn e Vigolana sono note come il paradiso del trekking, del golf e delle bike, fra attività che si snodano secondo il corso delle stagioni, con le passeggiate estive tra i boschi e i pascoli delle malghe, le foto al foliage autunnale e lo sci in inverno, un bianco luna park fatto da con 100 chilometri di piste, 18 skibar e rifugi, 150 maestri di sci e uno snowpark, ma anche 80 chilometri per chi ama rallentare con lo sci di fondo, le ciaspole, oltre al pattinaggio su ghiaccio o lo slittino.

La polenta di patate
La polenta di patate

Ma questo angolo di Trentino non ha perso la sua cultura, testimoniata dalla lingua dei Cimbri, che ancora si studia a Lusérn e a Lavarone, da un’enogastronomia che recupera piatti poveri come la polenta di patate, dalle tante sagre e attività, come il tombolo con la produzione del merletto, che ne raccontano storia e folclore. Da una storia di emigrazione che oggi riporta in queste valli un turismo di ritorno da Oltreoceano nel culto di Santa Paolina. E dalle sentinelle della storia, dal Forte Belvedere, in prima linea nella Grande guerra, alla misteriosa Base Tuono, strategica nella Guerra Fredda.

Passo Coe
Passo Coe

Nome in codice: “Base Tuono”

Il Trentino è una terra di confine, e Passo Coe, sull’altopiano di Folgaria, ne è il simbolo, passato attraverso l’impero austro-ungarico e la Prima guerra mondiale, la Resistenza nel’44 e l’eccidio di Malga Zonta, dove vennero fucilati dai nazisti 14 partigiani e tre malgari. Ma pochi sapevano che Passo Coe fu uno dei luoghi strategici della Guerra Fredda. Oggi è un parco della memoria che ripropone con oggetti originali, dai radar ai missili intercettori, una delle tre sezioni di lancio della base missilistica di Folgaria, operativa dal 1966 al 1977. Era la più alta in quota delle 106 che la Nato schierò in Europa (12 in Italia), a ovest della cosiddetta cortina di ferro. Qui, tra i pascoli a 1600 metri d’altezza, venne realizzata l’area lancio con le sezioni Alfa (attuale Base Tuono), Bravo e Charlie.

I missili di Base Tuono
I missili di Base Tuono

Sul Monte Toraro, a 1900 metri sul livello del mare, distante in linea d’aria 3 chilometri, c’era l’area di controllo, mentre 15 chilometri oltre, a Tonezza del Cimone, c’era l’area comando. “Tutto era funzionale alla sorveglianza dello spazio aereo del Brennero, considerato dalla Cia possibile corridoio d’attacco da parte del Patto di Varsavia”, spiega Maurizio Struffi, già vicesindaco di Folgaria, giornalista e scrittore, oggi direttore del parco museale di Base Tuono. “Per 25 anni questo fu considerato il più potente meccanismo difensivo della Nato nel mondo. Qui dovevano essere fermati i bombardieri nemici attraverso i missili intercettori terra-aria”. Smantellata come tutti i sistemi d’arma Nike (dal nome della dea della vittoria) col disgelo della fine degli anni Settanta, per decenni l’area è stata abbandonata, fino a quando nel 2010, 33 anni dopo la chiusura, un’intesa fra Comune di Folgaria, Aeronautica Militare, Provincia autonoma di Trento e Fondazione Museo storico del Trentino, si è cominciato a recuperare il materiale bellico per allestire un museo che ogni anno viene visitato da oltre 23mila persone. Una testimonianza senza uguali in Europa (l’unico museo simile è a San Francisco) della drammaticità di quegli anni, fra missili e hangar oggi all’ombra della bandiera della Pace.

Forte Belvedere e l’orrore della guerra

Forte Belvedere
Forte Belvedere

A Lavarone, a strapiombo sulla Val d’Astico, questa gigantesca struttura è visitata ogni anno da 28mila persone, che hanno la possibilità di comprendere, grazie ad alcune installazioni multimediali ma anche spettacoli a più voci come le “Sentinelle di Pietra”, le atroci esperienze della Grande guerra. Fu progettato dal tenente del Genio ingegner Rudolf Schneider e realizzato tra il 1908 e il 1912, poco lontano dall’abitato di Óseli, su uno sperone di roccia calcarea (a quota 1177 metri) che sporge a strapiombo sulla vallata che all’epoca sanciva il confine di stato fra Regno d’Italia e Austria-Ungheria. Per resistere ai più pesanti bombardamenti, fu dotato di una copertura di oltre due metri e mezzo di calcestruzzo, nel quale fu inserito un triplo strato di putrelle d’acciaio. Concepito, come le altre fortezze degli Altipiani, per resistere in assoluta autonomia a bombardamenti che potevano durare per giorni e giorni, disponeva di ampi depositi, di un acquedotto munito di potabilizzatore, una centrale elettrica interna, un pronto soccorso, una centrale telefonica e una stanza di telegrafia ottica per  comunicare con l’esterno. La guarnigione era composta da 160 Landsschützen (1° reggimento) supportati da 60 territoriali. Oggi, restaurato e arricchito da una serie di installazioni multimediali interattive che rievocano scene di vita quotidiana all’interno della struttura durante il conflitto, punta a stimolare un’esperienza emotiva che vuole far riflettere sull’orrore di una delle guerre più sconvolgenti di sempre e lanciare un monito di pace alle nuove generazioni.

Lusérn e i Borghi più belli d’Italia

Luserna
Luserna

Benvenuti nella terra dei Cimbri, antica popolazione germanica arrivata in questa terra intorno all’anno Mille. Luserna, con 268 abitanti e le sue case antiche e colorate a 1333 metri d’altezza a picco sul Veneto, è entrata nel novero dei Borghi più belli d’Italia. Rappresenta l’ultima comunità germanofona più meridionale d’Europa: l’antico dialetto bavarese oggi è parlato ancora solo da 600 persone al mondo, e qui lo usa il 70 per cento della popolazione. Qui è possibile visitare il museo che racconta la lingua e gli usi, l’arte del tombolo e la natura con il ritorno del lupo, oltre a una casa museo del 1600 con la tipica struttura in pietra. A pochi passi di distanza, l’istituto Cimbro e la scuola, dove la lingua germanica viene ancora insegnata ai bambini fino a 6 anni.

Pecore al pascolo
Pecore al pascolo

Storie di gusto, dalla polenta povera alla cucina gourmet

A Malga Millegrobe, sul prato dominato dal Cervo di Vaia, altra opera di land art realizzata da Marco Martalar, si svolge il concorso organizzato dalla Confraternita della Pult: l’obiettivo è celebrare il piatto più tipico di tutta l’Alpe Cimbra, fatto con patate, soffritto di porro, lardo e strutto, legato con la farina bianca abbrustolita o tostata. Viene servito col capriolo o col tonco de luganega, il tutto accompagnato con cavolo cappuccio.

La polenta di patate
La polenta di patate

“Ci sono 12 concorrenti e 10 giurati”, spiega Massimo Osele, gran maestro della Confraternita della polenta di patate, nata quando la povertà era tale da portare a sostituire persino il grano della polenta con un ingrediente meno costoso. Su questa malga si affaccia un centro per lo sci di fondo con un percorso di 40 chilometri.

Andrea e Luca Zotti
Andrea e Luca Zotti

C’è chi, come Luca Zotti, chef del ristorante Lusernarhof, ha fatto dei prodotti di questa terra una bandiera, diventando ambasciatore del gusto. Il locale gestito dallo chef con il fratello Andrea e la mamma Dolores (il papà Bruno fu il fondatore), è una veranda baciata dal sole affacciata sulla Val d’Astico e spesso sulle greggi di pecore al pascolo. “A Luserna siamo solo 200, ma ci sono ben nove ristoranti. La nostra cucina ci permette di differenziare l’offerta”, riassume Andrea. Dalle mani di chef Luca, una laurea in scienze naturali seguita dalla folgorazione per la cucina e da un percorso di studi passato da Alma al ristorante Le Calandre (3 stelle Michelin) con lo chef Massimiliano Alajmo, persino un ovetto e cardoncelli diventa un capolavoro di gusto. “Nel piatto porto il racconto delle mie montagne”, dice. E se da settembre a Pasqua il Lusernarhof resta un presidio di cucina raffinata e creativa sull’Alpe Cimbra tra licheni fritti, finferli, porcini e bacche di bosco, negli altri mesi la famiglia chiude per dedicarsi allo street food ai mercatini di Natale a Trento. “Facciamo il tortel di patate in una variazione di passeggio”, conclude Luca.

Folclore
Folclore

Il formaggio Vezzena

A due passi vengono a pascolare le mucche col cui latte viene prodotto il formaggio Vezzena, presidio Slow Food. Il latte viene portato da cinque contadini soci al Caseificio degli Altipiani e del Vezzena, guidato da Marisa Corradi, per essere lavorato da un giovanissimo casaro, Federico Lorenzin, 23 anni, e da due aiutanti.

Il formaggio Vezzena al caseificio
Il formaggio Vezzena al caseificio

E’ la cooperativa più piccola del Trentino e ha un fiore all’occhiello: il formaggio Vezzena di Lavarone, presidio Slow Food. Viene prodotto a latte crudo parzialmente scremato, nel periodo estivo si produce quello di malga, nel resto dell’anno si usa invece latte di fieno. Il caseificio produce 600 forme al mese.

L’accoglienza: hotel storici e campeggio a 4 stelle

C’è solo l’imbarazzo della scelta fra baite, appartamenti e hotel. Fra i più antichi di Folgaria, l’hotel Club Alpino, nato nel 1902 con solo tre stanze, oggi tre stelle ed eco-friendly, gestito da quattro generazioni dalla famiglia Struffi.

Rituale di benessere in sauna
Rituale di benessere in sauna

Tra le novità il campeggio 4 stelle Essenza Alpina, sempre a Folgaria, con bagno turco e sauna nordica (qui il costume è bandito): aperto da un anno in stile alpino e raffinato, propone rituali di benessere come l’Aufguss, un’esperienza di purificazione e rilassamento attraverso i profumi delle essenze e i movimenti armoniosi del maestro, in questo caso una maestra, Sara Della Giacoma, che gestisce l’impianto col marito Nicola Bailoni.

Il paese con gli occhi di Santa Paolina

L’Altopiano della Vigolana, a pochi chilometri da Trento, è un comune diffuso di oltre cinquemila anime nato dall’unione di quattro diverse municipalità. Il municipio si trova a Vigolo Vattaro, luogo di nascita di Santa Paolina Amabile Visintainer, conosciuta come la santa patrona degli emigrati trentini.

La casa natale di Santa Paolina
La casa natale di Santa Paolina

Nata in una famiglia poverissima, fin da bambina emigrò in Brasile, dove da umile ragazza diventò la fondatrice della congregazione delle Piccole suore dell'Immacolata Concezione. Da sola, ha fondato 450 case di istruzione e accoglienza per gli anziani, oltre a un ordine presente in tre continenti, ed è stata proclamata santa, la prima in Trentino, da Giovanni Paolo II nel 2002. “Lei è il simbolo dell’emigrazione - spiega la vicesindaca, Michela Pacchialet -.Qui abbiamo la sua casa natale, le suore e un sistema di accoglienza per i tanti emigrati che vogliono tornare nella loro terra alla ricerca delle loro radici. Solo l’anno scorso ne abbiamo accolti 650. Dal Trentino partirono in 60mila, oggi gli oriundi trentini in Brasile sono 2 milioni”. L’anno prossimo cadranno i 150 anni dalla prima migrazione.

La casa di Maria Callas, oggi municipio
La casa di Maria Callas, oggi municipio

Oggi i discendenti di quegli uomini e donne poverissimi tornano in Italia e trovano qui il paese capofila del cosiddetto “Turismo delle radici”, con un itinerario nel paese che passa dalla vecchia filanda al municipio, ex casa di Maria Callas, il cui primo marito Giovanni Battista Meneghini  aveva una fabbrica proprio qui, per svilupparsi, passando dalla chiesetta di San Rocco e dalle ville, fino al Bosco delle radici, dove gli emigranti possono piantare un albero: un simbolo di speranza sulle radici spezzate dalla tempesta Vaia.

Info: www.alpecimbra.it