Più che la forma può la sostanza, più degli interlocutori, i contenuti. È stata una due giorni a Mosca tutt’altro che appariscente per il cardinale Matteo Zuppi. Nessun incontro con il presidente russo Vladimir Putin, nonostante gli strenui sforzi diplomatici della Santa Sede per ottenere un’udienza sulla falsariga di quella concessa a Kiev tre settimane fa da Volodymyr Zelensky, e porte sbarrate anche dal ministro degli Esteri, Sergej Lavrov, una delle sparute, timide colombe del cerchio magico dello zar. Neanche il golpe mancato della Wagner, con l’ex spia del Kgb meno salda al potere e interessata a farsi vedere nel pieno controllo della situazione, ha consentito all’incaricato del Papa per la pace in Ucraina di varcare la soglia del Cremlino.
In una società dell’immagine come la nostra ce ne sarebbe già abbastanza per definire un fiasco la missione di Zuppi, ricevuto da funzionari di terza e quarta fascia nell’organigramma del potere russo. Il presidente dei vescovi italiani, attingendo a piene mani alla sua proverbiale riserva di pazienza, realismo e diplomazia, si è adattato in fretta ai niet di Putin, nella consapevolezza che si può finire a raccogliere briciole in cortile anche se ad accoglierti sulla soglia è il padrone di casa e non l’usciere in livrea. Contano gli argomenti e non le apparenze nella missione umanitaria più che negoziale (in senso stretto) che Bergoglio ha voluto affidargli. Due le urgenze principali: avviare un dialogo con Mosca sul rientro in Ucraina dei 19mila minori deportati in Russia, così come richiesto da Kiev che senza se e senza ma ha fatto capire di apprezzare solo in questa ottica un intervento della diplomazia vaticana; facilitare uno scambio di prigionieri tra i due Paesi in guerra.
Del primo tema il cardinale ha discusso oggi con la commissaria russa per i diritti dei bambini, Marija Belova, e ieri nel colloquio con Yuri Ushakov, consigliere di Putin per la politica estera, col quale si è avuto uno scambio di opinioni e informazioni su questioni umanitarie. Pur se Mosca scandisce che “con il cardinale non sono stati raggiunti accordi concreti“, certe parole lasciano presagire un fitto lavoro sottotraccia alla luce dell’interlocuzione vaticana, anche a ridimensionare l’accento del Cremlino che insiste nel ribadire “di apprezzare molto gli sforzi e le iniziative del Vaticano“.
Saranno solo eventuali gesti umanitari delle parti in guerra a provare la reale efficacia dell’azione di Zuppì. Ma non era certo scontato il fatto che il presidente dei vescovi italiani potesse sbarcare a Mosca, dove in pratica da inizio conflitto nessun dignitario occidentale ha più messo piede, e promuovere il messaggio di distensione e pace della Chiesa cattolica per due Paesi, Russia e Ucraina, a netta maggioranza cristiana ortodossa.
Quel poco, pochissimo che però diventa tanto in prospettiva, considerando la centralità dell’incontro ecumenico tenutosi ieri tra il cardinale e il patriarca di Mosca, Kirill che, per la prima volta dall’inizio dell’invasione russa in Ucraina, si è intrattenuto a colloquio con un inviato del Papa. Aver dialogato con chi sostiene da sempre Putin, in pace come in guerra, apre a Zuppi e alla Santa Sede spiragli d’interlocuzione ancora più diretta con il capo del Cremlino, anche se ai dettami russi: meno telecamere e ampia riservatezza. E contribuisce, in chiave ecumenica, a costruire un’alleanza interconfessionale –finora evidentemente mancata tra Vaticano e patriarcato – a favore di una qualche forma di cessate il fuoco.
“Le Chiese lavorino insieme per la pace”, è il netto auspicio espresso da Kirill all’arcivescovo di Bologna che a suo modo rende meno utopica l’ipotesi di un incontro a Mosca tra papa Francesco e il primate dell’ortodossia russa dopo lo storico colloquio fra i due a Cuba nel 2016. Suggestioni? Di certo è un’iniezione di fiducia per le ragioni della diplomazia in Russia, dove, solo agendo sul braccio spirituale del potere temporale, si può sperare di silenziare le armi del conflitto con Kiev. Anche senza colpi di teatro o photo opportunity.