Città del Vaticano, 6 giugno 2023 – C’è una mossa che più di ogni altra fu determinante nella difficilissima trattativa da cui dopo più di due anni e mezzo di delicato negoziato emerse l’accordo di pace per il Mozambico, già dilaniato da sedici anni di guerra civile. L’intesa fu raggiunta il 4 ottobre 1992 nella sede della comunità di Sant’Egidio a Trastevere. Quella mossa porta la firma di Matteo Zuppi, che di quel processo di pace, che viaggiò su strade proibite alla diplomazia tradizionale, fu uno dei quattro mediatori ufficiali. “In uno dei momenti più critici in cui le trattative tra il governo di Maputo e la ‘resistenza’ Renamo rischiavano di saltare – ricorda Marco Impagliazzo, presidente di Sant’Egidio –, don Matteo capì che un’efficace pressione sui due fronti, divisi da un odio tenace, poteva essere esercitata solo facendo toccare loro con mano la sofferenza del popolo, la sete di pace che lo percorreva”.
Difficile sapere con certezza se papa Francesco conosca tutti i dettagli di questo pezzo di storia che si giocò tra l’Africa e le terrazze romane promosse da Sant’Egidio, la cosiddetta Onu di Trastevere di cui Zuppi fu tra i primi ‘seguaci’. Può darsi che qualche particolare sfugga a Bergoglio, ma non certo il quadro e il risultato finale, che già lo avevano convinto a premiare Zuppi con la porpora e ad affidargli una diocesi di primo piano come Bologna. Ora l’expertise guadagnata sul campo anche come garante morale della consegna definitiva delle armi da parte degli indipendentisti baschi dell’Eta alle autorità francesi nel 2017, è l’asso nella manica di don Matteo che ha convinto Francesco a sceglierlo (sebbene privo della formazione nella prestigiosa Pontificia accademia ecclesiastica tipica dei ‘nunzi’), per la missione più delicata, addirittura mettendo in secondo piano i diplomatici di professione.
In Mozambico, la guerra civile era costata un milione di morti, quattro milioni e mezzo di rifugiati, la distruzione di scuole, ospedali, case. Da un lato i soldati governativi, dall’altro i guerriglieri inviati dalla Renamo infierivano sulla popolazione. Dopo alcuni primi viaggi con i convogli umanitari in avanscoperta nel Paese africano che non aveva nemmeno le piste di atterraggio, Zuppi riuscì a intavolare nel ‘90 un negoziato formale. Ma nessuno voleva cedere e presto si determinò uno stallo. Le durezze e le rigidità persistevano.
Zuppi capì che doveva mettere i capi militari spalle al muro. In tutta fretta, sfruttando anche la rete delle parrocchie mozambicane, organizzò la sottoscrizione di una gran quantità di cartoline che imploravano la deposizione delle armi. “Don Matteo – ricorda Impagliazzo – arrivò con questi scatoloni e rovesciò sul tavolo negoziale i fogli di centomila firme raccolte”. Accadde l’imprevedibile. Raul Domingos, capo della delegazione della Renamo, si ritrovò per caso tra le mani la cartolina che sotto la scritta ‘Vogliamo la pace’ recava la firma del padre che non vedeva da più di dieci anni. "La mossa di don Matteo fu di far parlare il popolo e quella fu la svolta".