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L'eruzione di Anak Krakatau del 23 dicembre (Ansa)
Roma, 24 dicembre 2018 - Era il 27 agosto dell’anno 1883. A Perth, in Australia occidentale, a oltre 3 mila chilometri di distanza dall’Indonesia, testimoni sentirono «una serie di forti esplosioni, simili a quelli dell’artiglieria, in direzione nord-ovest». Nell’isola di Rodriguez, nell’oceano Indiano, a ben 4.653 chilometri dall’isola di Giava, anche la guarnigione francese registrò «una serie di esplosioni provenienti da est, come il lontano ruggito di cannoni». Non erano cannoni, era il ruggito del Krakatoa, un vulcano con una storia esplosiva – devastanti le eruzioni del 416 e 535 dopo Cristo – che sorge tra Giava e Sumatra, in Indonesia. All’epoca aveva tre coni attivi – Rakata, Danan e Perbouwatan – gli ultimi due dei quali furono completamente distrutti e il terzo parzialmente. Quattro enormi esplosioni di intensità pari a 200 megatoni (13 mila volte l’atomica di Hiroshima) hanno letteralmente sbriciolato 45 chilometri cubi di rocce, il 70% dell’isola, e lasciato nella caldera del vulcano una voragine profonda 800 metri.
Tsunami in Indonesia: almeno 280 morti. Onde alte 20 metri, incubo Krakatoa Le quattro esplosioni produssero il rumore più forte mai udito in epoca storica – 310 decibel localmente, 172 decibel a 150 chilometri di distanza – e crearono roventi colate piroclastiche e uno tsunami con onde alte 30-40 metri che viaggiavano a 300 chilometri all’ora: l’onda di marea, ridotta ad alcuni centimetri, fu registrata anche a Londra e a San Francisco. Centosessantacinque villaggi e insediamenti costieri vennero spazzati via e completamente distrutti. In tutto, l’amministrazione coloniale olandese calcolò il numero di morti a 36.417, mentre secondo altre stime furono più di 120.000. L’esplosione oscurò completamente il cielo nel raggio di 450 chilometri e ceneri caddero fino a 6mila chilometri di distanza. Per effetto dell’immissione di enormi quantità di particolato in atmosfera la temperatura dell’emisfero settentrionale scese fino a 1.2 gradi e l’effetto si protrasse per 5 anni. Un effetto simile al cosiddetto ‘inverno nucleare’ temuto in caso di guerra atomica globale.
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