In Francia si è realizzato un vero e proprio coup de théâtre elettorale: l’alleanza dei partiti di sinistra riuniti nel Nuovo Fronte Popolare (Nfp) non solo è riuscita nell’impresa di sbarrare la strada all’annunciata vittoria del Rassemblement National (Rn) ma si è affermata come prima forza parlamentare.
Per il Rn, che già pregustava l’ingresso a Matignon del proprio astro nascente, Jordan Bardella, dopo due lusinghiere affermazioni nelle scorse settimane in occasione delle europee e del primo turno delle legislative (in entrambi i casi ampiamente oltre il 30%), è uno schiaffo doloroso che il significativo incremento di seggi non può far dimenticare. Al contrario la sinistra riunita nel Nfp (alleanza a quattro tra la France insoumise, Partito socialista, Ecologisti e Comunisti) riesce a fare gioco di squadra e a mettere sotto il tappeto profonde divergenze e tensioni tra i partiti, arrivando inaspettatamente in testa, mantenendosi tuttavia ben distante (oltre un centinaio di seggi) dalla maggioranza assoluta.
Tradurre questo primato – frutto in buona misura delle desistenze che hanno ridotto il numero dei triangolari da 306 a 98, penalizzando il Rn – in una maggioranza di governo appare tuttavia non semplice. Non solo perché il Nfp per governare dovrà scendere a compromessi con il vituperato partito presidenziale Ensemble, sopravvissuto all’azzardo elettorale di Macron e solidamente in Parlamento come seconda forza, ma perché gli equilibri interni a sinistra sono molto meno leggibili rispetto al passato.
La coalizione Nupes (Nuova Unione popolare ecologista e sociale) che si era presentata alle legislative del 2022 era egemonizzata dalla France insoumise di Mélénchon, che oggi invece rappresenta – in termini di seggi – appena il 40% della pattuglia parlamentare del Nfp. Un leader a sinistra non emerge chiaramente (a differenza di quanto accaduto con la coabitazione del 1997 con Chirac, quando Lionel Jospin apparve da subito il naturale federatore della sinistra) e non aiutano certo la via del compromesso le dichiarazioni a caldo di Mélénchon, secondo cui il Nfp governerà sin dall’estate attraverso decreti (ossia lo strumento denunciato per 7 anni a sinistra come l’emblema dell’autoritarismo del governo) per abrogare le riforme presidenziali, a partire da quella delle pensioni.
Anche sul terreno istituzionale il quadro è ricco di incognite. Dopo sette anni di presidenza verticale Macron dovrà infatti, per la prima volta dal suo ingresso all’Eliseo, scendere a compromessi con i suoi avversari. Il capo dello Stato non è più sostenuto da una maggioranza – nemmeno relativa – di deputati: se è riuscito a evitare l’ingresso dell’estrema destra nella stanza dei bottoni deve ora riuscire a evitare la paralisi istituzionale, tentando di favorire un dialogo tra i centristi di Ensemble, la destra gollista e la componente meno radicale del Nfp.
Il chiarimento politico promesso da Macron con lo scioglimento anticipato non si è verificato e lo spettro dell’instabilità torna ad affacciarsi in Francia dai tempi (invero ben più drammatici) della Quarta Repubblica. Il rischio, in caso di paralisi politica e di ulteriore frustrazione di un elettorato che è tornato in massa alle urne (+20% rispetto alle legislative di due anni fa), è che il vento del disincanto democratico torni a spirare forte in Francia nei prossimi anni e che, in un contesto in cui il voto sanzione è ormai la norma da 40 anni, la sconfitta a sorpresa del Rn lo ponga nella posizione più favorevole per affrontare la partita delle presidenziali del 2027.