di Filippo BoniBasta guardarli davvero. Gli occhi scavati, le orbite nere, le sopracciglia folte e ispessite, i capelli rasati, le fronti solcate da rughe simili a tagli, le guance smunte, emaciate, le orecchie gonfie, le barbe incolte, le mascelle infossate, le labbra rinseccolite, righe scure, piatte e inespressive su volti grigi. Ma soprattutto, spiccano gli occhi. Sì, gli occhi senza luce, gli occhi senza vita, gli occhi vuoti, spenti nel buio di chi ha visto e inghiottito un abisso nero e oscuro e sa che quel buco nero lo abiterà finché avrà respiro quanto basterà per continuare a dirsi vivo sulla terra. Le foto dei volti di Or Levy, Eli Sharabi e Ohad Ben Ami, i tre ostaggi israeliani rapiti da Hamas il 7 ottobre 2023 e rilasciati l’altro ieri, urlano in silenzio a chiunque le osservi. Quelle immagini hanno la potenza di un pugno allo stomaco che rimanda a visioni orrende della storia.
Sì, perché al di là dello show di Hamas per la loro liberazione, un’operazione di tetro marketing, una parata con tanto di fucili, bandiere, slogan e volti coperti da passamontagna, sono i corpi scheletriti dei tre uomini nascosti in pigiami marroni a far riflettere di più. Quali sono le condizioni in cui questi prigionieri hanno vissuto per un anno e mezzo e in cui stanno vivendo gli altri ostaggi che al momento si trovano ancora nelle mani di Hamas? Il paragone più prossimo con quegli uomini, non solo per appartenenza religiosa, ma anche per uno strano nesso storico, è con i prigionieri dei lager nazisti che venivano definiti “musulmani”.
Il termine “musulmano”, di dubbia origine storica ed etimologica e non riconducibile in senso alcuno agli appartenenti alla religione islamica, era impiegato nei campi di concentramento del Terzo Reich per designare quei prigionieri che, sottoposti a privazioni estreme e a continue vessazioni, avevano raggiunto un tale grado di debilitazione da risultare prossimi al decesso. Questo stato era l’esito devastante della fame cronica, del freddo intenso e della perdita di speranza, elementi che insieme provocavano il completo esaurimento delle energie vitali a margine di un’aggressione estrema e patologica inflitta a un essere umano da un altro essere umano.
Quei tre ostaggi hanno dato la percezione al mondo di avere gli stessi tratti dei “musulmani” e ora tenteranno di tornare alla vita. Ma quanto, in verità? Le loro esistenze sono state semidistrutte il 7 ottobre 2023 e difficilmente riusciranno a liberarsi per sempre dell’incubo del massacro, dei familiari perduti e della sofferenza atroce ed evidente della prigionia. Si potranno mai definire liberi davvero? I loro occhi senza luce ci parlano.
Gli stessi occhi spenti, dall’altra parte della guerra, sono quelli dei palestinesi che in questi anni di conflitto hanno perso tutto: casa, terra, familiari, in molti casi anche i figli innocenti morti nei bombardamenti su Gaza. In cambio dei tre israeliani, ieri l’altro, sono stati scarcerati 183 prigionieri e detenuti palestinesi, tra cui 111 cittadini di Gaza arrestati nella Striscia dopo il 7 ottobre. Arriveremo davvero alla parola fine di quest’incubo che fa tremare la terra? Gli occhi spenti di quegli uomini che hanno attraversato questa nuova guerra, da entrambe le parti, al di là dei loro credo e delle loro appartenenze politiche, sono una sofferente, silenziosa e laica preghiera di pace reciproca. In fondo, basta guardarli davvero.