Venerdì 2 Agosto 2024
RICCARDO JANNELLO
Esteri

Venezuela, si teme la guerra civile. Dagli Usa all’Italia: “Risultati manipolati, il vincitore delle elezioni è Gonzalez”

Ma Maduro non molla: “Gli Stati Uniti non interferiscano”. Ma il popolo che abbatte le statue di Chavez vuole essere un avvertimento per il presidente

Roma, 2 agosto 2024 – Il popolo che abbatte le statue di Hugo Chavez riporta alla mente quando gli iracheni facevano lo stesso con quelle di Saddam Hussein:

il caudillo amato, padre del nuovo Venezuela ed epigono contemporaneo di Simon Bolivar, non va più di moda come fu per il dittatore mediorientale. Ma mentre a Baghdad infuriava la guerra, a Caracas il rischio è che la stessa sia un bagno civile. Una fibrillazione retta da anni sul filo si è trasformata in un terremoto dopo che il Consiglio nazionale elettorale ha proclamato Nicolas Maduro, erede di Chavez ma ben meno attrezzato politicamente, vincitore alle elezioni presidenziali che si sono tenute il 28 luglio e i cui risultati sarebbero stati manipolati dal capo di Stato che è ormai insediato a Miraflores dal 5 marzo 2013, undici anni in cui la sua popolarità è sempre più

calata e l’opposizione, dal canto suo, è cresciuta fra la gente e soprattutto fra gli osservatori internazionali anche se non immune da accuse di corruzione.

VENEZUELA-POLITICS-ELECTION-MADURO
Maduro parla ai suoi sostenitori

Il responso “ufficiale” del voto del 28 luglio è stato quanto meno equilibrato, sicuramente più delle altre consultazioni. Per Maduro avrebbero votato 5 milioni e 150mila venezuelani, il 51,2%, mentre il candidato dell’opposizione liberale, Edmundo Gonzalez Urrutia, si sarebbe fermato a 4 milioni e mezzo circa, il 44,2%. Ma la coalizione che ha al vertice una donna, Maria Corina Machado, non ci sta e prima ha invitato i suoi rappresentanti di lista a presidiare i seggi e ricontrollare ogni scheda poi ha gridato alla frode e a un hackeraggio che ha “cancellato” i voti dell’opposizione, “secondo noi ben oltre i sei milioni mentre quelli di Maduro non sono più di tre milioni”.

“Tutti sanno – ha dichiarato la Machado – che il vero vincitore è Gonzalez e che i suoi voti sono stati in realtà il 70% del totale. Il governo ha imbrogliato perché non vuole che a vincere sia il popolo che da tanti anni opprime. E quindi chiediamo di nuovo che prima che inizi la repressione il Consiglio nazionale elettorale faccia vedere tutti i registri e non solo il 40% come ha fatto”.

Apriti cielo e le cancellerie internazionali hanno subito preso posizione. Ieri due potenze della Regione hanno riconosciuto la vittoria di Gonzalez e lo considerano il presidente eletto. Prima Washington: il segretario di Stato Antony Blinken ha detto che “date le prove schiaccianti, è chiaro agli Stati Uniti e, soprattutto, al popolo venezuelano che Edmundo Gonzalez Urrutia ha ottenuto il maggior numero di voti. Ora è il momento per i partiti venezuelani di iniziare le discussioni per una transizione rispettosa e pacifica in conformità con la legge elettorale”. Qualche ora dopo è stata Buenos Aires a dare la

sua benedizione al candidato liberale, ben più in linea con Milei: “Il governo dell’Argentina - ha scritto su X la ministra degli Esteri, Diana Mondino – riconosce l’oppositore Gonzalez Utrrutia come presidente eletto del Venezuela”.

Sulla stessa linea si pone l’Italia che, scrive il ministro degli Esteri Antonio Tajani con un posto in spagnolo sempre sulla pattafoma di Elon Musk, “sostiene il popolo venezuelano che ha espresso la sua volontà. I risultati elettorali sono stati manipolati, secondo osservatori elettorali indipendenti, soprattutto nella trasmissione dati. Come abbiamo detto nella Dichiarazione del G7, dobbiamo rispettare il voto democratico”. D’altra parte la Ue subito dopo avere appreso i risultati ufficiali aveva dichiarato di non fidarsi del risultato e di volere un nuovo riconteggio, poi il documento era stato ammorbidito per il veto posto dall’ungherese Viktor Orban.

Maduro cerca di mantenere i suoi alleati “forti” a livello internazionale e flirta con i regimi comunisti di Cina, Russia, Cuba, Vietnam e Corea del Nord, con l’Iran e, nella Regione, con Nicaragua, Bolivia e Honduras. E sta corteggiando in modo assiduo Luis Inacio Lula da Siva, presidente del Brasile, politicamente non lontano dalle sue idee ma preoccupato per la democrazia venezuelana, lui che nel gigante sudamericano deve fare l’equilibrista con i liberali e i socialdemocratici che appoggiano il suo governo di sinistra. Lula non ha ancora riconosciuto il voto del 28 luglio e anche nelle ultime ore, in una telefonata con Maduro, ha auspicato, come ha fatto con il presidente americano Joe Biden, “la necessità di una pubblicazione immediata dei verbali elettorali completi, trasparenti e dettagliati a livello di seggio da parte delle autorità elettorali di Caracas. L’esito rappresenta un momento critico per la democrazia nell’emisfero”.

Sulla questione si stanno muovendo le organizzazioni degli Stati, divisi ideologicamente ma tutti preoccupati per uno sviuppo che possa portare alla guerra civile.

Dal canto suo Maduro non molla: parlando dal balcone di Miraflores ha detto che “gli Stati Uniti non interferiscano negli affari interni del Venezuela che è uno Stato sovrano e nel quale la volontà del popolo si è manifestata nelle elezioni che ho vinto. Chi sta cercando di minare la pace sono i fascisti e gli immigrati da paesi nostri nemici che abbiamo accolto per lavorare”. Ma non fa menzione degli undici milioni di venezuelani che dalla sua prima elezione hanno abbandonato il Paese, in preda a una crisi economica che sembra senza fine, quella che i liberali hanno promesso si risolvere se arriveranno a Miraflores. Intanto sostengono che i morti fatti dal regime sono più di quaranta e non i sei ammessi dal governo. L’abbattimento delle statue di Chavez vuole essere un avvertimento per Maduro.