Mercoledì 13 Novembre 2024
ALESSANDRO FARRUGGIA
Esteri

La vendetta di Teheran, massima allerta in Israele: "Attacco diretto possibile, rischio guerra regionale"

Il politologo iraniano: il governo Netanyahu non adotta una strategia logica. "Offensiva di Gaza e raid di Damasco sproporzionati rispetto ai colpi subiti. Gli Ayatollah reagiranno nonostante i seri problemi di consenso interno"

Professor Pejman Abdolmohammadi, docente di origine iraniana di relazioni internazionali all’università di Trento e associato Ispi, il capo di stato maggiore delle Forze armate iraniane ha ribadito che loro colpiranno Israele. Dobbiamo quindi attenderci un attacco diretto?

"È possibile

Teheran, donne iraniane espongono cartelli pro Palestina
Teheran, donne iraniane espongono cartelli pro Palestina

che sia un attacco diretto anche se io non scarterei un attacco via proxy. Ma una risposta militare è inevitabile dato che Israele ha colpito una rappresentanza diplomatica iraniana, che è come dire il suolo iraniano, e uno Stato sovrano non può non rispondere militarmente ad un attacco simile pur se in quella sede diplomatica si riunivano forze militari attivamente ostili verso Israele. Ora è vero che ormai il diritto internazionale è sistematicamente calpestato, e molti Stati sovrani violano la sovranità altrui: dalla Turchia in Siria e Iraq ad Hezbollah che dal Libano attacca Israele. E poi ci sono Israele che attacca in Libano e Siria e naturalmente la Russia che ha invaso l’Ucraina. Ma se Teheran non rispondesse perderebbe la faccia nei confronti dei suoi sostenitori".

Crede che sarà un attacco “simbolico“, o sostanziale?

"Io penso che potrebbe essere un azione non simbolica, a differenza di quella fatta contro gli americani nel 2020, dopo l’uccisione del generale Soleimani".

Se l’attacco ci sarà e sarà reale, si rischia una replica israeliana e di fatto una guerra aperta tra Teheran e Tel Aviv?

"È possibile che un attacco massiccio da parte della Repubblica islamica possa diventare la scintilla che incendia il Medio Oriente".

Crede che Israele abbia sottostimato il rischio escalation attaccando il Consolato iraniano a Damasco?

"È stato probabilmente un eccesso di confidenza che potrebbe diventare un errore importante. A mio avviso il governo Netanyahu sta utilizzando una strategia non molto logica e non bilanciata per proteggere il proprio interesse nazionale. La sproporzione nell’attacco a Gaza dopo la barbarie del 7 ottobre, dopo la quale il mondo aveva giustamente condannato Hamas, rischia di alienargli l’opinione pubblica mondiale, come ha del resto recentemente ricordato un amico di Israele come il presidente Trump. E l’attacco al Consolato iraniano rischia di innescare un conflitto regionale nel quale Paesi come Cina e Russia potrebbero non disdegnare di schierarsi con Teheran, specie se, come è logico che sia, gli Stati Uniti partecipassero al conflitto con Israele. E azione dopo azione, si rischierebbe la terza guerra mondiale".

Ma il regime di Teheran vuole davvero la guerra con Israele? Si è sempre detto di no.

"La Repubblica islamica non ama la guerra tradizionale, tantomeno contro un avversario forte come Israele: preferisce utilizzare i proxy per portare avanti la propria strategia di promozione del caos nella regione. Ma questo nel contesto attuale potrebbe non essere più vero"

Come mai?

"Per due motivi. Il primo sono i seri problemi di consenso interno dopo le mobilitazioni di piazza del 2023 e le scandalose elezioni parlamentari che hanno mostrato il distacco del Paese dai vertici della Repubblica Islamica. Il secondo è il fatto che in vista del prossimo possibile arrivo di Trump, che della Repubblica islamica è nemico giurato, Teheran potrebbe giocare d’anticipo promuovendo un conflitto che rimescoli le carte e che potrebbe essere d’interesse per vari attori regionali e globali che giocano con Teheran. Quindi attenzione a dire “Teheran non vuole la guerra“. Potrebbero anche esserci delle sorprese, anche se dopo la rivoluzione culturale del 2023, l’80% dei cittadini iraniani non è affatto disponibile ad andare a combattere per la Repubblica islamica, e questo i vertici lo sanno bene".