Roma, 6 gennaio 2020 - "Nel caso di un conflitto aperto tra Iran e Stati Uniti a soffrire per gli impatti energetici ed economici non sarebbe l’America, ma l’Asia e l’Europa. E in particolare l’Italia".
Professor Davide Tabarelli, Nomisma energia e università di Bologna, con l’uccisione del generale Soleimani e l’intervento turco in Libia si avvicina la tempesta perfetta per i mercati energetici?
"Grazie al fatto che c’è molta capacità inutilizzata, se non si arriverà a una guerra aperta è da escludere un aumento paragonabile a quello visto dopo gli attacchi alle raffinerie saudite, quando mancarono da un giorno all’altro 7 milioni di barili di petrolio. Ma se qualcuno attaccasse militarmente il prezzo schizzerebbe a 100 dollari il barile. Non sarebbe un grosso problema per l’America, che vede l’indipendenza energetica, e questo permette a Trump di essere molto disinvolto nello sganciare bombe. A pagare sarebbero piuttosto l’Asia, che non vuole un conflitto con l’Iran, e l’Europa. Italia soprattutto".
Perchè l’Italia? Dopotutto non importiamo più petrolio dall’Iran.
"Innanzitutto perché con il barile a 100 dollari, dato che importiamo il 77% dell’energia, perderemmo l’1% del pil e andremo in recessione. E poi perché il 20% del petrolio che consumiamo viene dall’Iraq, e il 29% del petrolio che importiamo passa dallo stretto di Hormuz. Qualcosa l’Iran certamente farà per rispondere all’America. E’ realistico che tenti attacchi verso le petroliere che transitano nello stretto. Ora, visto che su 100 milioni di barili al giorno l’eccesso di produzione è di un solo milione, e da Hormuz passano 15 milioni di barili al giorno, basterebbe per creare uno scompenso assai grave".
Senza contare gli effetti sull’interscambio globale Italia-Iran
"L’Italia è il primo partner europeo dell’Iran, ancora nel 2018 l’interscambio valeva 4.7 miliardi di euro. Con le sanzioni si è ridotto ma è ancora importante. Una guerra lo azzererebbe. Altro danno al nostro Pil".
Teme che un intervento turco in Libia possa avere effetti anche sull’export petrolifero di quel paese?
"Su questo sono meno pessimista. Nel 2018, a guerra civile già aperta, la Libia ha avuto 18 miliardi di dollari dall’export di petrolio e gas, somma poi spartita fra Tripoli e Bengasi. Nessuno dei due attori vuole rinunciare a questo flusso di valuta pregiata, quindi nessuno attaccherà le infrastrutture petrolifere".