Roma, 17 luglio 2024 – È assai in bilico il voto degli eurodeputati di FdI sulla conferma di Ursula von der Leyen alla guida della Commissione europea. A palazzo Chigi per ora "non si ha notizia" dell’atteso colloquio telefonico tra la presidente incaricata e la premier Giorgia Meloni per dirimere le controversie, a cominciare dal debito riconoscimento di ruolo e deleghe per il commissario italiano; incarico per cui rimane in pole position il ministro Raffaele Fitto.
Voto e franchi tiratori
Ma il nodo del voto alla presidente della Commissione è in primo luogo politico. E da questo punto di vista il sentiero per la premier si è fatto spinoso. Specie dopo l’endorsement dei Verdi nei riguardi di von der Leyen in nome del, pur temperato, Green Deal voluto dai socialisti del Pse e affatto indigesto per il partito di Meloni. Per sventare il pericolo dei franchi tiratori, che si annidano soprattutto nelle file del Ppe, von der Leyen sta cercando di blandire i moderati di sinistra e di destra. Ieri perciò ha incontrato il gruppo di Ecr presieduto da Meloni (assente per incarichi di governo). "Un’ora intensa" di confronto a detta della presidente in pectore. Che avrebbe incassato il via libera dei cechi del premier Petr Fiala e dei fiamminghi dell’N-Va. Mentre I polacchi del Pis sono decisamente orientati a votarle contro l’esponente del Ppe – partito del premier in carica e avversario in patria – Donald Tusk. "Von der Leyen non è la nostra candidata", dichiara perciò l’ex premier Beata Szydlo. Mentre per FdI l’eurodeputato lombardo Mario Mantovani non si è sbilanciato, limitandosi a notare che la presidente ha risposto "tenendo fede al suo progetto".
Green deal
Proprio questo è il punto: a cominciare dal discusso Green deal in ragione del quale i 53 voti verdi potrebbero risultare determinanti, portando in questo caso alla firma di un patto formale sull’allargamento della maggioranza. Perciò Meloni si trova un po’ tra l’incudine e il martello: tra dover votare con Pse e ecologisti o rimanere, suo malgrado, sulla sponda del No insieme a Orban, Salvini, Le Pen e gli altri trumpiani che vogliono la pace con Putin. Dopo l’astensione sul pacchetto di nomine in sede di Consiglio europeo, motivata con lo sgarbo istituzionale al ruolo dell’Italia e al successo politico dei conservatori, il nodo del voto sulla presidenza per Meloni è prettamente politico. Certo il risarcimento attraverso le deleghe al commissario italiano è importante. Si parla del Bilancio (lasciato da Paolo Gentiloni) e del Pnrr, oltre a una vicepresidenza esecutiva. Ma per la composizione reale del governo europeo occorre aspettare settembre. E comunque non sarà facile riuscire a erodere il potere del lettone Valdis Dombrovskis, che aveva e probabilmente avrà ancora la doppia firma su tutte le partite economiche.
La conta dei voti
A maggior ragione, quindi, il voto a favore o contro la presidenza von der Leyen (anche l’astensione di fatto è un voto contrario, in quanto serve la maggioranza assoluta dei sì) è dirimente. Non è un caso che il ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida ieri si compiacesse che "negli ultimi mesi l’atteggiamento sul ‘Green Deal’ si è modificato" nel senso del "pragmatismo". Parole che riprendono quelle pronunciate dalla candidata presidente durante la riunione col gruppo conservatore. Di fronte al quale von der Leyen ha anche annunciato due nuove deleghe che stanno a cuore alle destre di governo. La prima è quella a un vicepresidente incaricato per la sburocratizzazione. La seconda, ancor più rilevante, è la nomina di "un commissario alla Difesa" in stretta collaborazione con la Nato.