Sabato 18 Gennaio 2025
ANTONIO DEL PRETE
Esteri

Uno a quarantotto. Le vite sulla bilancia e la spirale dell’odio

La fragilità dell’accordo per Gaza nei contenuti vaghi delle fasi due e tre

Benjamin Netanyahu dirige il gabinetto di sicurezza che vota l'accordo per la tregua a Gaza (Ansa)

Benjamin Netanyahu dirige il gabinetto di sicurezza che vota l'accordo per la tregua a Gaza (Ansa)

Quarantotto palestinesi per ogni israeliano. Uno più, uno meno. Vivi o morti, comunque numeri, scritti nero su bianco a sancire uno squilibrio tra gli uni e gli altri. Due popoli, due bandiere, due destini. Vite con un peso specifico diverso. Materiale infiammabile in una terra che non ricorda più né il primo peccato né la prima pietra. Tutti i principali analisti vedono nei dettagli non ancora definiti, nei contenuti vaghi delle fasi due e tre, le fragilità dell’accordo per la tregua a Gaza. Vero, nel breve e medio termine. Eppure, è nel lungo periodo che vanno scovati i fantasmi. E sono i dettagli già definiti le micce più pericolose in prospettiva. Proprio quel rapporto di uno a quarantotto. Trentatré ostaggi israeliani da rilasciare in cambio di circa 1.600 detenuti palestinesi da liberare. Numeri freddi al servizio di una nobile causa, quella del cessate il fuoco se non addirittura della pace, volendo peccare di ottimismo.

Ma una simile sproporzione – non lontana da quella che raggruma il terrore del 7 ottobre con i suo 1.200 morti e le 46.000 anime inghiottite nel baratro umano di Gaza – tradisce un peso simbolico che trascende le mere cifre. Può essere percepita come uno schiaffo sia nell’exclave palestinese sia a Tel Aviv; rischia di alimentare una spirale di rivendicazioni e ritorsioni. La storia del Medio Oriente insegna che ogni ferita non sanata può diventare la premessa per nuovi spargimenti di sangue. Così domani Mohammed Sinwar, o chi verrà dopo di lui, potrà infiammare il magma dell’umiliazione palestinese. Urlando quei numeri, in una guernica di mattoni monchi e ferraglia, chiederà: "Vedete quanto vale la vostra vita per il nemico sionista?".

Hamas si nutre di odio per reclutare giovani martiri. La sua presenza doveva essere cancellata, stando agli obiettivi di guerra proclamati da Netanyahu nel 2023. Secondo le stime, dopo 468 giorni di bombe e morte, l’organizzazione islamista ha perso 17.000 uomini. Nel frattempo, però, grazie a una propaganda assecondata da un paesaggio apocalittico, ne ha reclutati altri 15.000. Esiste e resiste. Così come il bellicismo dell’estrema destra israeliana, che ribaltando l’interpretazione dell’accordo, accusa il premier di mettere in libertà centinaia di "terroristi" in cambio di poche decine di ostaggi. E chiede, terminata la prima fase, di disinnescare il senso stesso della tregua con una nuova pioggia di bombe sui tetti maciullati della Striscia. Il nemico è sacro per chi vuole la guerra. Da entrambe le parti. Non ci sarà mai pace senza una giustizia che ispiri il riconoscimento del valore di ogni vita. E "la cosa peggiore non è tanto il male – scriveva Albert Camus –. Ma l’abitudine al male".