Roma, 1 ottobre 2024 – Anche se nessuno lo ammetterà mai nemmeno in un confessionale davanti a un prete, da giorni il comando dei militari dell’Unifil sapeva che da un momento all’altro le forze armate israeliane sarebbero entrate in Libano. E del resto i Caschi blu dell’Onu avevano intuito, se non ne erano stati messi al corrente, che nuclei di forze speciali erano già penetrate all’interno dei confini per preparare il terreno al blitz dell’Idf. Gli stessi americani hanno ammesso di essere stati avvisati della svolta anti Hezbollah.
Già da ieri quando tirava aria di invasione il comando Unifil di Naquoura aveva diramato l’ordine ai Caschi blu (10 mila, di cui 1.200 italiani) di non uscire dalle basi. Quelle italiane sono a Shama e negli avamposti più a sud denominati 1-31 e 1-32 Alfa. “In questa situazione i pattugliamenti sono impossibili”. Quindi massima allerta, occhi aperti e pronti a entrare nei bunker se la situazione dovesse farsi più pesante del previsto. Da Roma e dal Libano si fa di tutto per rassicurare sulla sorte dei peacekeepers italiani. “Non c’è tensione, sono soldati perfettamente addestrati”. Fonti del Ministero della difesa precisano che “I nostri militari sono al sicuro anche se l’allarme, come previsto dalle procedure, è stato alzato a livello 2. Fino a tarda sera non non c’è stata necessità di fare entrare il personale nei bunker, ma la situazione è in piena evoluzione”.
Ovviamente le forze dell’Idf per portare a termine il blitz ‘Boots on the ground’, che in gergo militare significa uomini operativi sul terreno, devono per forza di cose transitare sul territorio gestito dalle forze delle Nazioni Unite. Ed è per questo che nella massima segretezza Israele ha avvertito dell’operazione il Comando Unifil, senza però precisare gli obiettivi da raggiungere. “Ciò ovviamente limita i movimenti dei caschi blu fino a nuovo ordine, ma è tutto previsto dalle regole d’ingaggio”, si apprende ufficiosamente. Tradotto significa che da oggi e fino a nuovo ordine gli uomini del contingente italiano composto in prevalenza da uomini della Brigata Sassari, conosciuti come Dimonios, uno dei reparti più preparati dell’esercito italiano, hanno azzerato o ridotto al minimo tutte le attività operative quotidiane che sono circa 200.
Niente pattugliamenti tra le montagne rocciose sul limite della frontiera, nella Blue line , e stop alle perlustrazioni nei villaggi fino al fiume Litani a nord. Porte chiuse e tutti nelle basi in attesa degli eventi. Fino a tarda sera sono rimasti in contatto diretto il capo di Stato maggiore della Difesa, generale Luciano Portolano, fresco di nomina a settembre, e il comandante del contingente italiano in Libano, generale Stefano Messina. Qualche parola arriva da Andrea Tenenti, portavoce civile di Unifil: “La situazione sia a Beirut che al sud, è drammatica. Soprattutto negli ultimi dieci giorni che hanno visto un numero di bombardamenti molto elevato. La preoccupazione è che questo conflitto in realtà si possa ampliare ancora di più. Al momento non c’è alcun piano di evacuazione di contingenti e i militari sono compatti con la Brigata Sassari, nel sud del Libano”. Intanto l’esercito libanese ha lasciato gli avamposti sul confine e si è ritirato 5 chilometri più a nord.
“Le regole di ingaggio per i nostri militari non cambiano – ha precisato intanto in serata il ministro degli Esteri, Antonio Tajani – la nostra è un’operazione di peacekeeping. Crediamo piuttosto che ci possa essere in futuro un rafforzamento del ruolo dell’Unifil. Ma bisogna aspettare che ci sia una de-escalation”. E ha aggiunto: “Abbiamo avuto notizia soltanto di incursioni in territorio libanese da parte delle truppe israeliane. Entrano ed escono con iniziative che puntano a distruggere gli avamposti di Hezbollah, l’obiettivo è quello di ricacciare i miliziani dietro la zona blu del confine Israele-Libano”. Scende la notte mentre il Paese dei cedri si infiamma di nuovo e non solo per i lampi dei razzi in cielo.