Harriet Tubman. Chi ne ha sentito parlare? Gli americani dagli storici. Sino a che non fu scoperta dai produttori cinematografici e divenne popolare. Gli europei da nessuno o quasi. Harriet era una schiava, analfabeta. Nella prima metà dell’Ottocento lavorava nelle plantations del profondo sud. Eppure presto, forse già entro quest’anno, il suo volto fragile e rugoso comparirà sui biglietti da 20 dollari. Sostituirà quello di Andrew Jackson, presidente dal 1829 al 1837. E Jackson era l’incarnazione dello schiavismo. Nella sua plantation in Tennessee di schiavi ne aveva centinaia.
Ma sbaglierebbe chi attribuisse l’avvicendamento a un cedimento alla cosiddetta Cancel Culture, cioè alla furia iconoclasta perseguita dalla sinistra radicale del partito democratico. Andrew Jackson fu un grande presidente, un grande generale, sconfisse gli inglesi nella battaglia di New Orleans e strappò agli spagnoli la Florida. Un patriota. E nemmeno c’entra il movimento Black Lives Matter, che l’estate scorsa incendiò alcune città americane. La decisione era stata già presa nel 2017. Presidente Donald Trump. E il motivo non ha nulla a che fare con il colore della pelle e invece tutto con il suo coraggio, l’abnegazione, l’avere affrancato circa 300 schiavi, avere comandato un battaglione all’assalto di un forte nella Carolina del Sud, avere combattuto al fianco di John Brown a Harpers Ferry in West Virginia. Dunque la banconota in arrivo fisserà un doppio simbolismo: la prima dedicata a una donna e la prima a un personaggio nero, anzi afroamericano. Sinora delle sette banconote in circolazione cinque riproducono altrettanti presidenti, George Washington, Thomas Jefferson, Abraham Lincoln, Ulysses Grant, il succitato Andrew Jackson. Due ai Padri fondatori Alexander Hamilton e Benjamin Franklin. A dire la verità, due precedenti femminili ci sono. Quello di Martha Washington, moglie del primo presidente, e quello di Pocahontas, la principessa nativa americana, che nel Seicento sposò uno dei primi coloni inglesi. Ma quella di Martha Washington nel 1886 in realtà era più un Silver certificate che una banconota. E quella di Pocahontas nel 1865 una curiosità per collezionisti.
Dunque l’omaggio a Harriet appare più che giustificato. Con qualche timore: domani fra gli epurati ci saranno anche George Washington e Thomas Jefferson? Anche loro avevano plantations. Anche loro avevano centinaia di schiavi. Il buon senso dovrebbe escluderlo. Anche se l’estate scorsa vennero abbattute le statue di Robert Lee, generale confederato. Ma Lee combatteva in difesa della schiavitù. Washington per l’indipendenza delle ex colonie inglesi. Mentre Jefferson fu l’autore dei principi di libertà e eguaglianza sui quali si basa la prima Costituzione democratica della storia moderna.
Per Harriet invece tutti d’accordo. Fu un’eroina. Nei 12 anni precedenti la guerra civile aveva creato la Underground Railroad. Non una ferrovia, ma un network di nascondigli che consentivano agli schiavi di fuggire dal sud e di raggiungere la Pennsylvania e gli Stati abolizionisti. Lei stessa li guidava per centinaia di miglia. Boschi, paludi, bounty hunters, cacciatori di taglie. Era stata la prima a raggiungere Filadelfia quando aveva 29 anni. Proveniva dal Maryland. Era già segnata dalle frustate e da terribili mal di testa. Un sorvegliante l’aveva colpita con una grossa pietra. Il marito non la seguì. Due fratelli tornarono indietro quando, un anno dopo, appresero che era stato varato dal Congresso il Fugitive Slave Act. Un fuggitivo riparato al nord poteva essere ricatturato e rispedito al sud. Durante la guerra civile, dal 1861 al 1865, rientrò nella Confederazione per fare opera di spionaggio. Partecipò ad azioni militari. Sposò un veterano. Finalmente, a guerra finita, il senatore Seward le regalò un pezzo di terra nello Stato di New York. Morì a 93 anni. Molte scuole portano il suo nome. Dozzine i libri. Molti i film. L’ultimo la paragona a Mosè. Come Mosè guidò il suo popolo verso la Terra promessa, verso la libertà.