Sabato 27 Luglio 2024
GIOVANNI PANETTIERE
Esteri

L’Ucraina apre ai negoziati. "La Russia sia in buona fede". Il cardinale Zuppi e la pace: “I tempi sono più maturi”

Il ministro ucraino Kuleba in Cina. Il Cremlino: “C’è sintonia, ma contano i dettagli”. Dopo la visita di Parolin a Zelensky, il capo della Cei intravede uno spiraglio: "Cresce la consapevolezza della forza del dialogo, ma il mondo faccia di più"

Roma, 24 luglio 2024 – Dalla Terza loggia del Palazzo apostolico, sede del centro nevralgico della Santa Sede, la Segreteria di Stato, il destino della martoriata Ucraina si mostra finalmente meno fosco. Non che ci si possa ancora azzardare a parlare di spiragli di pace, ma, anche alla luce del viaggio a Kiev del segretario di Stato vaticano, il cardinale Pietro Parolin, si fa strada nella Chiesa un cauto ottimismo sulla fine delle ostilità.

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Proprio la missione del porporato è stata tutt’altro che un mero segno della costante vicinanza del Papa al popolo ucraino. Piuttosto la scelta del Pontefice d’inviare a colloquio col presidente Volodymyr Zelensky il vertice della diplomazia vaticana è espressione della volontà di Bergoglio, condivisa con i suoi più alti dignitari, di profondere lo scatto decisivo per favorire il negoziato fra Russia e Ucraina dopo il lavoro (in salita) di gregari di lusso come i cardinali Matteo Zuppi e Michael Czerny.

Mai come ora il contesto geopolitico e militare – più favorevole alle colombe che ai falchi – induce a fare tutto il possibile per instradare un cammino di pace. "Lentamente sta crescendo la consapevolezza che solo il negoziato permetterà di portare avanti una pace giusta e sicura – sintetizza Zuppi, l’uomo di Dio che, su mandato del Papa, viaggiando in Ucraina, Russia, Usa e Cina, nei mesi scorsi si è speso più di tutti per riavvicinare le parti in guerra –. Speriamo che questa contezza aumenti ulteriormente. La comunità internazionale deve giocare la sua parte per arrivare ai risultati attesi da tanto tempo".

Lo stallo sul fronte bellico, le aperture di Zelensky ad una conferenza internazionale di pace con la partecipazione anche di Mosca e sotto l’egida di Pechino – dove è volato martedì il ministro degli Esteri ucraino, Dmytro Kuleba – e infine la reazione interlocutoria dei russi schiariscono l’orizzonte degli osservatori vaticani sul quadrante est europeo. Anche nella consapevolezza che la stessa azione certosina e costante di moral suasion della diplomazia papalina, tesa a favorire un clima di distensione fra le parti attraverso gesti umanitari – dal trattamento rispettoso dei prigionieri al ritorno a casa dei bambini ucraini rapiti –, sta dando i suoi frutti. A fare il resto poi, specie con riflessi sulla sponda ucraina, è l’incertezza dello scenario politico negli Usa, principali finanziatori della resistenza di Kiev: la possibile vittoria di Donald Trump potrebbe segnare una battuta d’arresto nella fornitura di armamenti. Ad oggi sono più di 110 i miliardi di dollari stanziati da Washington dall’inizio dell’invasione russa.

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Ora o mai più, non c’è tempo da perdere per chi vuole silenziare le armi e il loro mercato di morte. La Chiesa ha pazienza e incassa le dichiarazioni possibiliste dell’Ucraina e della Russia. La prima "è pronta per i colloqui con Mosca in una certa fase, qualora questa sia disponibile a negoziare in buona fede, pur se adesso non vediamo tale predisposizione", chiarisce Kuleba dalla Cina; la seconda, per bocca del portavoce di Vladimir Putin, Dmitri Peskov, sostiene che l’apertura di Kuleba "è in sintonia" con la posizione russa per poi affrettarsi ad aggiungere che "l’importante sono i dettagli". Tradotto, il senso di quella ’pace giusta’ invocata da Kiev come dalla Santa Sede per tutelare l’integrità territoriale ucraina.

Negoziare non significa accordarsi, sa bene il cardinale Parolin. Al quotidiano dei vescovi, Avvenire, ammette "che siamo ancora lontani da una soluzione negoziata". Tuttavia "ai tavoli la Russia non può non esserci", puntualizza. E il fatto che Zelensky riconosca questo aspetto "lo considero un passo in avanti".